Ha un nome d’arte che assomiglia ad un codice. Anche la band virtuale che ha fondato con l’italianissimo Davide Perico assomiglia ad un codice: DY3-thx12-4432. Lui, in realtà, è giapponese. E la sua arte affonda le radici in un mondo rock digitale e ultra moderno. Più che un codice, pertanto, quello del chitarrista rock giapponese Yoshimitzu4432 è un intero universo da decifrare, composto da suoni algidi e scintillanti.
Iniziamo da DY3-thx12-4432: ricordiamone brevemente la storia (leggi anche: La band “virtuale” italo-giapponese DY3 sbarca sul “Dark planet”). Si tratta di un duo artistico virtuale che interagisce a diecimila chilometri di distanza. Il loro “incontro” è stata una storia affascinante e a tratti romanzesca, ed un tentativo (riuscito) di creare una nuova estetica di suoni ed immagini nel variegato mondo musicale (ma anche della Settima Arte). La loro esperienza musicale contaminata è vissuta, dicevamo, a distanza, ed è una possibilità artistica figlia solo di una modernità 2.0 e di un futuro in continua costruzione via etere.
Davide Perico, nato a Bergamo, vive in provincia di Milano. Diplomato in studi classici e successivamente in ingegneria del suono, suona pianoforte, tastiere, basso elettrico, ed ha oltre trent’anni di esperienza come produttore, tecnico del suono e compositore di musica per film e videogiochi.
Yoshimitsu4432, il protagonista dell’intervista in inglese che abbiamo tradotto per i lettori della nostra testata, è di base a Tokyo. Il suo stile affonda le radici nell’hard rock degli anni ’70/’90, e le sue ispirazioni arrivano dall’alternative rock all’Edm, dall’hip hop al funk. Ha suonato in varie formazioni giapponesi. Come membro della band Camden Lock, ha registrato un album a Londra con Ralph Jezzard, l’ingegnere dei The Wildhearts. Si è anche esibito al più grande festival musicale del Giappone, Summer Sonic, come chitarrista della band Neon Gravity. Conosciamolo meglio.
Da dove proviene il tuo soprannome?
«Le persone dall’estero mi dicono spesso che Yoshimitsu è il nome di un personaggio dei videogiochi, ma Yoshimitsu è il mio vero nome! Il numero 4432 non ha un significato profondo. In giapponese, i numeri possono essere letti in diversi modi. I numeri possono essere letti come 4 (yo), 4 (shi), 3 (mi), 2 (tsu), e così via. È un po’ un gioco di parole, e qualcosa che i giapponesi fanno spesso».
Raccontaci un po’ di te.
«Da bambino ero timido, amavo i film di fantascienza, mi piaceva disegnare e costruire modelli in plastica. In quel periodo volevo diventare regista, attore, direttore artistico… ma anche pittore. Tuttavia, all’età di 16 anni il mio tutor mi regalò una cassetta di Michael Schenker e rimasi colpito dalla musica rock occidentale. Fu allora che presi in mano una chitarra elettrica».
Chi ti ha musicalmente ispirato?
«Da bambino ero appassionato di musica hard rock, quindi le mie preferenze particolari sono state affidate, oltre che a Michael Schenker, ad artisti come Gary Moore, Brian May e Ritchie Blackmore (per citarne qualcuno). Al di fuori dell’hard rock, i chitarristi che mi hanno particolarmente influenzato sono stati l’artista nigeriano Keziah Jones e, forse sorprendentemente, il musicista jazz Wes Montgomery. Ho tratto ispirazione per il mio modo di suonare la chitarra anche dal mondo del canto, dal sax e dalla tromba».
Ti ricordi la tua prima volta sul palco?
«Certo, la ricordo ancora molto bene. Immagina un piccolo auditorium al liceo. Ed io che suono un assolo di chitarra su quel palco, illuminato da un piccolo riflettore. Anni dopo, mi sarei ritrovato a suonare con migliaia di persone davanti a me. È stata una visione ed un sogno che si sono trasformati in realtà. Da quella mia prima volta, già sapevo di voler diventare una rock star, un eroe della chitarra. Vivendo con chitarra e musica».
Qual è il ricordo professionale che custodisci con maggior affetto?
«Ho avuto molte esperienze con le mie band passate: grandi palcoscenici, apparizioni in tv e registrazioni all’estero. Onestamente, quelle cose lì non sono ricordi che custodisco con affetto. Tutte le mie band si sono infatti sciolte nel giro di pochi anni. In ogni caso, penso che quelle esperienze siano state utili. Una volta, avevo una vita un po’ sregolata e amavo un po’ troppo gli alcolici dopo gli spettacoli. Oggi, invece, bevo pochissimo. Conservo comunque tanti ricordi personali di incontri fatti in carriera e di concerti fatti. Come quella volta in cui mi trovavo a suonare ad un grande festival in Giappone e c’era accanto a me, nel backstage, un chitarrista giapponese che amavo da bambino. Ed io fui troppo nervoso per parlargli. Ho sempre avuto nel passato la sensazione di non aver raggiunto nulla a livello artistico, perché, ripeto, le mie band si sono sempre sciolte».
«Ciò che apprezzo di più sono le mie ultime attività musicali, che penso siano le più cool in assoluto. Non sono un uomo che pensa troppo a ciò che è stato e vivo l’attimo presente E penso proprio che il mio “now” artistico con Davide Perico sia la cosa più figa che potessi realizzare».