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“Quelli lì” e “gli altri”: quando la scelta delle parole è importante

Il termine “negazionista” nasce per identificare chi negava la verità dei campi di concentramento. Oggi come è usato? E chi sono “gli altri”?

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Il mondo della comunicazione, mediatica e non, va a mode. Chi ha qualche decennio sulle spalle o chi con le parole ci lavora, può certamente enumerare diverse parole che hanno segnato un’epoca e il cui ricordo ci catapulta direttamente in quella determinata epoca di riferimento. Tra quelle che hanno definito maggiormente l’ultimo biennio vi è indubbiamente la parola “negazionismo”.

Entrato ormai nel gergo comune, l’appellativo “negazionista” (la cui koinè come molti sanno risale alla fine della Seconda guerra mondiale, e definiva chi negava l’esistenza dei campi dì concentramento) più che una caratteristica di una persona definisce, a parere di chi scrive, un rapporto: quello di impossibilità di dialogo che pone da un lato chi viene etichettato appunto come “negazionista” e dall’altro lato tutto il resto del mondo. 

Su Wikipedia si legge che il negazionismo è una corrente pseudostorica e pseudoscientifica del revisionismo che consiste in un atteggiamento storico-politico che, a fini ideologici e politici, nega contro ogni evidenza l’accadimento di fenomeni storici accertati, ad esempio guerre, genocidi, pulizie etniche o crimini contro l’umanità.

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Ma sappiamo tutti bene quanto in verità di questi tempi l’uso preponderante del termine sia stato dapprima correlato al grande tema della recente (e, pare, prima di una lunga serie) pandemia e ora, il tema del clima. Salute e temperature. Due temi trasversali che toccano tutti gli “strati” socio culturali indiscriminatamente.

Eppure pare esserci una spaccatura davvero drastica tra due opzioni: i negazionisti e quegli altri. Già perché ora che ci penso, come li chiamiamo quegli altri? Perché, democraticamente, e comunque da che mondo è mondo, se identifico due fazioni entrambe devono avere un nome, o no? Mica nelle guerre puniche abbiamo studiato che erano la guerra tra i romani e “quegli altri”. Eh no, sappiamo bene che furono le guerre tra romani e cartaginesi; i Guelfi non avevano contro “gli altri fiorentini” ma i Ghibellini; la guerra di secessione vide lo scontro tra nordisti e sudisti, non tra nordisti e gli altri, e così via.

Ma i nostri poveri negazionisti, con chi si scontrano? Come si chiama l’altra squadra? I giustizialisti? I veriteristi? I positivisti? Voi ridete, ma le parole sono importanti. Perché una lotta così accesa come quella sui temi di cui si parla non può avere una fazione sola “contro il resto del mondo”.

A meno che… A meno che l’identificazione di una sola delle due posizioni altro non sia che una apartheid sotto mentite spoglie. Dove i negazionisti possono essere in quanto tali identificati, etichettati e poi sottoposti ad ogni tipo di ludibrio, beffeggio e discriminazione. Da parte di chi? Di tutti gli altri che, già solo per il fatto di non essere incasellati ed etichettati godono certamente di più rispetto e di maggior libertà di espressione.

Alcuni mi direbbero che i negazionisti si scontrano contro la “scienzah” ma questo non può passare perché la scienza è un metodo, non un dogma, ed è un metodo fondato essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, il calcolo, o che ha per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvale di linguaggi formalizzati. Ma che non possono escludere il dialogo a priori come in questi accesi dibattiti che spesso vedono proprio gli scienziati premi Nobel (Montagnier e Rubbia solo per citarne due) tacciati di negazionismo perché confutano le teorie “di maggioranza”. Una evidenza maggiore di quanto il dibattito non sia onesto o correttamente impostato non credo possa esserci.

Perché, vedete, qui in realtà non è tanto il tema di per sé ad essere rilevante (abbiamo visto come appunto essere negazionista vada benissimo in tema sanitario quanto climatico e Dio solo sa a quanti altri argomenti potrà far da sponda) ma è il fatto di tacciare immediatamente chi la pensa diversamente a quello che è il pensiero dominante del momento, escludendo a priori il dibattito perché, se non la pensi come me, non si possono ascoltare le tue ragioni, sei negazionista e basta.

Che poi tu sia un premio Nobel che esprime delle perplessità su un trattamento sanitario o un prezzolato della politica, il peso della tua opinione non la fa la tesi che sostieni e i titoli che hai per sostenerla, ma da che parte stai.

Perché se sei un premio Nobel ma non la pensi come scrivono i giornali di mezzo mondo (detenuti poi dai soliti 4 in croce; in Italia persino meno: due famiglie ma neanche) allora sei negazionista e basta. E non negarlo che sei negazionista, sennò sei negazionista al quadrato. E se neghi di essere negazionista perché dici che non stai negando un qualcosa ma ci stai semplicemente ragionando ecco allora fa attenzione, perché mi sa che c’è pure l’aggravante.

Dite che sto straparlando? Sarà il caldo? Ma no, non nego che faccia caldo ma da che ricordo ha sempre fatto caldo d’estate… Ah, dite che sono negazionista? Davvero? E voi, invece, che cosa siete?

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Lorenza Morello
Lorenza Morellohttps://lorenzamorello.it/
Giurista d'impresa e presidente nazionale Apm (Avvocati per la mediazione), si occupa di aziende, internazionalizzazione e ristrutturazione del debito e ritiene da decenni che la sua “missione” sia quella di rendere il diritto più comprensibile a tutti. Aiuta le aziende e le persone a prevenire il conflitto anziché venirne travolte. Laurea in giurisprudenza a Torino, 110 magna cum laude e premio Bruno Caccia, ha studiato a Oxford, Strasburgo, Oldenburg, Atene e Montreal. Autrice di molteplici pubblicazioni (tra le ultime "No taxation without representation") è nota nel mondo radiofonico e televisivo in Italia e all'estero anche grazie al suo ruolo di consulente di “Casa Italia”, su Rai Italia, in cui risponde ai quesiti e ai dubbi degli italiani nel mondo.
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