Dal Belgio alla Francia, dall’Italia alla Germania e, in generale, in diversi paesi Ue, le ultime settimane sono state caratterizzate da grandi proteste organizzate da agricoltori e associazioni agricole che, con metodi e misure diversi, hanno fatto sentire la propria voce ai rispettivi governi nazionali e più in grande alle istituzioni europee.
Proprio la scorsa settimana, il 1º febbraio, mentre al Parlamento europeo si discuteva riguardo l’invio di nuovi fondi all’Ucraina, fuori dalle mura dell’edificio a Place du Luxembourg erano radunati migliaia di agricoltori, i quali hanno bruciato pneumatici, lanciato bottiglie e uova alle forze dell’ordine e bloccato le strade del quartiere europeo con centinaia di trattori. A questo punto è però necessario capire il perché di proteste così estese.
Partiamo dalle basi, ovvero dalla Pac, o politica agricola comune. Si tratta di un insieme di leggi adottate dall’Ue che garantiscono una politica comune in materia di agricoltura nei paesi membri. Questa viene periodicamente aggiornata e modificata per adattarla alle nuove circostanze socioeconomiche. A fronte di un budget da 387 miliardi di euro, la Pac corrente è entrata in vigore nel 2023 e lo resterà fino al 2027.
Se il budget può sembrare cospicuo è perché è così. La Pac, infatti, arriva a occupare circa un terzo dell’intero bilancio dell’Unione Europea, essendo i sussidi alla categoria uno dei pilastri su cui è stata concepita. Tuttavia, questi fondi sono sempre più legati alle misure green adottate dall’Unione per contrastare il cambiamento climatico. Primo fra tutti, il Green deal, nel quale rientra anche Fit for 55, ovvero l’obbiettivo di ridurre le emissioni nei paesi membri del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro e non oltre il 2050.
Per questi motivi, la Pac dal 2023 obbligherebbe tra le altre cose gli agricoltori a tenere a riposo il 4% dei terreni, in un’ottica di preservazione della biodiversità. A questo si aggiunge il piano Farm to Fork, il quale prevede di riconvertire entro il 2030 almeno il 25% dei terreni coltivati ad agricoltura biologica, assieme al contestatissimo obbiettivo di ridurre di molto l’utilizzo di pesticidi e agenti chimici. Stando a quanto detto dagli agricoltori, queste misure gravano sul settore agricolo, ristringendo sempre di più le libertà degli agricoltori.
A tutto ciò va si aggiungono altri fattori, quali il generale rincaro del costo dei carburanti e dell’elettricità, che hanno incrementato i costi di produzione lungo tutta la filiera agricola. Infine, gli agricoltori hanno sottolineato anche la competizione sleale nel mercato europeo causata dall’importazione di prodotti a basso costo da paesi extraeuropei, quali ad esempio l’Ucraina, che gode dall’inizio della guerra di agevolazioni sui dazi per l’esportazione di grano nell’Unione.
Quanto appena riportato è in realtà una generalizzazione delle cause delle proteste, essendo ogni Stato membro caratterizzato da un contesto diverso, fatto di leggi diverse che hanno generato richieste diverse. Ad ogni modo, una cosa è certa: indipendentemente dalle cause specifiche per ogni caso, la categoria sta riuscendo pian piano nel suo intento, essendo capace di esercitare una grande influenza sulle politiche sia nazionali sia europee.
D’altro canto, seppur il settore agricolo costituisca solo l’1.4% del Pil dell’Unione, la categoria è decisamente tra le più influenti. Le associazioni di categoria sono ben organizzate e capaci di mobilitare molti voti.
A seguito delle proteste, che come anticipato sono culminate con la manifestazione a Bruxelles, l’Unione Europea ha deciso di fare alcuni passi indietro per quanto riguarda i suoi obbiettivi green. Nello specifico, la Commissione ha proposto di derogare l’obbligo di tenere il 4% dei terreni a riposo per un anno, ed ha aggiunto come si cercherà un dialogo e la rivisitazione di alcune misure per andare incontro alle richieste mosse dagli agricoltori.
Ed è qui il dilemma. Da un lato vi è l’esigenza impellente e non più rimandabile di agire sulla crisi climatica. E questo, prima o poi, dovrà intaccare il settore agricolo, il quale è tra i più energivori nonché uno di quelli che, stando a Eurostat, dal 1990 a oggi ha ridotto meno le emissioni generate.
Dall’altro lato, però, il settore agricolo rappresenta, citando la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la spina dorsale della sicurezza alimentare europea, il che dona alla categoria una forte influenza, a fronte di interessi che però si muovono nella direzione opposta a quella che l’Unione vorrebbe.