«Le specie aliene, ovvero quelle specie trasportate dall’uomo al di fuori della loro area di origine, sono responsabili del 42 per cento delle estinzioni di specie animali e vegetali dal 1500 ad oggi, oltre ad aver contribuito alla distruzione dell’habitat». Quello della contaminazione delle specie è uno degli aspetti sul quale si è soffermato il presidente uscente di Federparchi (associazione dei gestori delle aree protette), Giampiero Sammuri, durante il X congresso nazionale svoltosi a Roma per il rinnovo degli organismi dirigenti.
Spazio Eventi di Palermo si è trasformato in un simposio sulla biodiversità durante il quale non sono mancati accenni espliciti alla questione dei cinghiali e alla loro invasione, come viene comunemente percepita. L’argomento è stato trattato con un approccio scientifico, spegnendo quei clamori allarmistici e toni distruttivi che solitamente si sollevano ad ogni misura di contenimento
In una dettagliata relazione, suffragata da informazioni e dati, Sammuri ha parlato del caso del cervo della Riserva naturale Bosco della Mesola, nel ferrarese. In questa meraviglia disegnata dal fiume Po, l’unica popolazione autoctona italiana di cervo è minacciata dalla presenza dei daini. «Purtroppo – ha spiegato Sammuri – ci siamo trovati di fronte ad un’opinione pubblica contraria al piano di azione del Ministero dell’Ambiente al fine di eradicare il daino. Raccolte 30mila firme. Stessa situazione nel Parco nazionale del Circeo, dove sempre i daini stanno danneggiando e divorando la più estesa foresta in pianura in Italia. Accuse contro il Parco».
Sammuri, che di recente ha presentato il libro “Animali, uomini e parchi” scritto con il giornalista Gianni Montesano, ha quindi invitato ad una riflessione.
«In Italia esistono 126 specie di mammiferi e 267 di uccelli nidifcanti; 59 sono le specie cacciabili, ovvero il 15 per cento. Tra queste ci sono proprio i daini, il cervo e il capriolo. Pensate all’assurdità in cui si trovano i Parchi: in Toscana, nella sola stagione venatoria 2020-2021, sono stati abbattuti 2.180 daini durante battute di caccia, attività venatoria consentita dalla legge. Dunque, daini abbattuti per divertimento. Il Parco, nel bosco della Mesola, i daini non li abbatte per divertimento ma per salvaguardare il cervo».
E veniamo ai cinghiali. «Secondo il rapporto dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, tra il 2015 e il 2021 sono stati abbattuti 300mila cinghiali: 257 mila a caccia, 42 per controllo. Di questi, 16mila esemplari si trovavano in aree protette. Ma, nonostante questo quadro, avvengono cose incomprensibili, come nel Parco pubblico della Maggiolina, a La Spezia, dove per la presenza di 9 cinghiali il parco pubblico è stato chiuso per tre settimane ad agosto. Perché c’era una forte resistenza all’abbattimento di soli 9 cinghiali».
Fauna selvatica: «Visione scientifica e nuova normativa»
“Fauna selvatica, ungulati e specie invasive: occorre una strategia ampia basata su criteri scientifici, stop alle pressioni animaliste e venatorie”, recita una delle slide mostrate in sala da Sammuri. Il quale, indicando una foto, ha commentato: «Quella persona che sta dando da mangiare ai cinghiali, secondo una legge del 2015, sta commettendo un reato che però difficilmente verrà sanzionato – stando a quando riporta il sito istituzionale di Roma Capitale -. Occorre avvicinare l’opinione pubblica ad una visione scientifica dell’argomento e soprattutto correggere la normativa. Il governo ha già fatto qualcosa ma, oltre ai cacciatori, in questo genere di operazioni andrebbero coinvolte anche le imprese specializzate. Perché se parliamo di cinghiali i cacciatori hanno la competenza adeguata, ma se parliamo di scoiattolo grigio, visone o nutria occorre avere una professionalità specialistica. Facciamoci guidare dalla scienza anche nelle politiche di conservazione concentrando gli sforzi su quelle a maggior rischio estinzione».
Non c’è solo il lupo, ha quindi evidenziato Sammuri, riferendosi al discorso del Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che nel suo intervento ha parlato dei conflitti che si generano tra le attività agricole e il sovrappopolamento di alcune specie animali, anche per scelte sbagliate dell’uomo. Ha aperto ad un perfezionamento della normativa sottolineando che non si tratta di attività venatoria e chiamando la scienza in supporto di attente valutazioni d’intervento.
Ma al centro del congresso di Federparchi c’erano il sistema, le potenzialità e la governance delle aree protette, proiettate verso gli obiettivi dell’Agenda 2030 con il loro patrimonio naturalistico e culturale, di forte richiamo per un turismo sostenibile. E soprattutto con la loro funzione primaria di tutela degli ecosistemi e traino di sostenibilità ambientale.
Le indicazioni della Cop15 di Montreal sono di portare al 30 per cento le aree naturali protette in tutto il mondo, sia a terra che a mare e portare al 10 per cento il tasso di specie minacciate. Obiettivi che sono già parte integrante della Strategia europea per la biodiversità al 2030 e che in Italia sarebbe attuabile con Parchi già pronti (Portofino, Matese, Val Grande con l’allargamento).
Le associazioni ambientaliste
Al X congresso di Federparchi, che è l’associazione dei gestori delle aree protette, hanno portato il loro contributo numerosi e autorevoli enti e associazioni aderenti e non.
«Se l’Italia deve raggiungere gli obiettivi globali ed europei al 2030 – ha affermato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – su lotta alla crisi climatica e tutela della biodiversità, che sono all’interno del pacchetto su energia e clima, di quello sull’economia circolare e nelle strategie su biodiversità e farm to fork, non possono non dare un contributo concreto tutte le aree protette, sia marine sia terrestri»
«Se le aree protette – ha proseguito Ciafani – devono dare un contributo, Federparchi deve guidare l’intero sistema nazionale in questa direzione. Di fatto si apre un nuovo scenario che deve far diventare le aree protette il soggetto protagonista e non l’oggetto della transizione ecologica. Questa secondo noi deve essere la nuova missione di Federparchi, che si deve aggiungere a quella tradizionale di sindacato delle aree protette».
«Non possiamo tenere conto del continuo consumo di suolo – ha rimarcato Luciano Di Tizio, presidente Wwf Italia -. Secondo i dati Ispra perdiamo due ettari all’ora di territorio. Così come non possiamo tener conto che questo congresso nasce in contesto nuovo, ovvero con l’obiettivo del 30 per cento di territorio da proteggere e da gestire. Vanno, dunque, superate numerose incongruenze che riguardano le aree marine protette e i parchi regionali, che rispetto ai parchi nazionali sono considerati di serie B e non si possono continuare a gestire con strumenti e dotazioni tanto diverse. La natura non conosce confini. Va bene la riforma, meglio far funzionare in maniera più opportuna l’attuale legge quadro».