Quando il cambiamento parte dalla comunità: organizzazioni di tutela ambientale e decine di migliaia di persone, mobilitate in una campagna di informazione e in una battaglia legale, sono riusciti i piani di una multinazionale del petrolio. Mercoledì 1° dicembre 2021 era infatti la data fissata dalla compagnia petrolifera Shell, una delle quattro principali aziende mondiali nel comparto del petrolio e del gas naturale insieme a BP, Exxon Mobil e Total, per l’inizio delle ricerche lungo la Wild Coast in Sudafrica di nuovi giacimenti: l’origine di una nuova catastrofe ambientale.
Tutto questo nonostante il 26 maggio, data che rimarrà storica per la giustizia climatica, un tribunale olandese aveva condannato la Shell a ridurre le emissioni di gas serra del 45% entro il 2030 rispetto ai parametri del 2019, giudicando “insufficiente” la politica di sostenibilità del colosso petrolifero. Una sentenza senza precedenti con grandi conseguenze per tutte le multinazionali energetiche. Si è creato un precedente: un tribunale che obbliga un gigante petrolifero ad agire per rispettare gli accordi di Parigi con l’obiettivo di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°. Un provvedimento che non riguarda solo l’azienda in sé, ma anche tutti i suoi fornitori e clienti.
Il tribunale ha affermato che la multinazionale stava violando diversi articoli, tra cui il diritto alla vita e il diritto alla vita familiare, causando un pericolo per tutti i cittadini nonostante fosse possibile adottare misure alternative. La corte ha stabilito inoltre che la società era a conoscenza dei danni delle emissioni di carbonio: secondo il database di Carbon Majors, Shell è una delle prime dieci aziende al mondo tra quelle più inquinanti e, a oggi, è responsabile dell’1% delle emissioni globali.
Finalmente anche i tribunali pongono l’accento sull’urgenza di una drastica riduzione delle emissioni per evitare la catastrofe climatica e sulla necessità che gli obiettivi climatici diventino vincolanti non solo per gli Stati, ma anche per le grandi aziende. Aumenta così la pressione sui grandi inquinatori: non potranno più sfuggire alle loro responsabilità nell’aver contribuito a determinare e nel continuare a concorrere alla crisi climatica. Non sarà più sufficiente che le aziende rispettino la legge sulle emissioni, ma dovranno conformarsi anche alla politica climatica globale.
La relatività delle azioni: da una parte leader mondiali riuniti in summit per promettere e prendere decisioni in nome della salvaguardia ambientale in virtù di studi scientifici che attestano che per contrastare i cambiamenti climatici non si possono continuare a bruciare le riserve già esistenti di combustibili fossili, ragion per cui è del tutto inutilmente dannoso ricercarne altri; dall’altra parte compagnie petrolifere che, in totale contraddizione e incoerenza, incuranti dei danni della fase di ricerca e delle eventuali trivellazioni successive, proseguono le loro attività in contrasto con il loro stesso piano di transizione energetica volto a limitare il riscaldamento globale. Non so voi, ma io non capisco!
Tutto questo doveva avvenire in una delle destinazioni più celebri al mondo per l’osservazione delle balene e dei delfini: la Wild Coast del Sudafrica. Rappresenta uno dei territori più ricchi di biodiversità di tutto il continente africano: custodisce numerose specie di balene, delfini ma anche squali, foche e pinguini. È forse una delle zone più rurali, vere, indomite di tutta la nazione.
Questa costa è famosa per essere un’importante area di migrazione per le balene. Tra giugno e dicembre megattere e balene australi migrano verso quest’area per accoppiarsi e crescere i loro cuccioli sempre con le stesse tempistiche e può capitare di vedere il parto di un balenottero, che viene al mondo uscendo per la coda per non affogare. Uno dei rifugi mondiali della fauna selvatica, una zona incontaminata e selvaggia di una bellezza primordiale: è agghiacciante che in nome del profitto si sia anche solo presa in considerazione un’azione del genere.
La prima fase della ricerca di nuovi giacimenti di petrolio e gas naturale prevede le cosiddette prospezioni geosismiche: si creano onde sismiche per poi studiarne l’eco e ricostruire così le caratteristiche dei fondali. Per mesi una nave attiva 24 ore su 24 avrebbe spostato decine di cannoni ad aria compressa su una superficie di 6.011 chilometri quadrati, emettendo ogni 10 secondi onde d’urto in grado di penetrare per 3.000 metri l’acqua marina e per 40 chilometri la crosta terrestre sotto il fondale marino.
A causa del forte rumore che introducono nell’ambiente sottomarino e per gli effetti che hanno sulla fauna, le prospezioni geosismiche hanno suscitato molte polemiche. Numerosi studi scientifici dimostrano che a causa di queste indagini gli animali marini possono essere allontanati dal proprio habitat, cambiare il proprio comportamento, comunicare con maggiore difficoltà, subire elevati livelli di stress e, se si trovano vicino alla sorgente del rumore, incorrere in danni all’udito. Tali effetti sono stati documentati sui mammiferi marini, ma anche su pesci e invertebrati, quindi l’intera rete trofica potrebbe risultarne influenzata. Grazie alle sue basse frequenze, il rumore si può propagare attraversando oceani interi, per centinaia o addirittura migliaia di chilometri.
Quando ci renderemo tutti conto che la difesa dell’ambiente è la vera priorità e che ogni azione errata, ogni giorno sprecato ci avvicina sempre di più al punto di non ritorno? Non lasciamo ai nostri figli una terra esplosiva che urla contro di noi!
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