La globalizzazione è un processo attraverso il quale mercati, produzioni, consumi, modelli di vita e di pensiero divengono connessi su scala mondiale, grazie ad un continuo flusso di scambi che tende a renderli uniformi e convergenti. Sicuramente ha favorito lo sviluppo economico di alcuni Stati, quelli industrializzati e tecnologicamente sviluppati, attraverso la delocalizzazione.
Le grandi nazioni industrializzate, tanto ricche da poter attribuire un valore alla qualità ambientale, hanno spostato il loro carico inquinante nei Paesi in via di sviluppo in cerca di condizioni economiche più vantaggiose in termini di risorse e manodopera. Tuttavia, questo avviene spesso a scapito di pratiche corrette da un punto di vista ambientale: le nazioni in via di sviluppo con risorse e manodopera a basso costo tendono ad avere normative ambientali meno rigorose e bassi livelli di controllo e protezione ambientale (si pensi all’esportazione di rifiuti e sostanze tossiche verso i Paesi in via di sviluppo).
In sintesi, la globalizzazione ha contribuito a migliorare la qualità ambientale nei Paesi di più antica industrializzazione, spostando nei Paesi in via di sviluppo i carichi inquinanti, aiutando la loro crescita economica. Ma a quale prezzo? Il fenomeno si è affermato definitivamente dopo la caduta del Muro di Berlino del 1989 e con il conseguente abbattimento delle barriere protezionistiche in quasi tutti i Paesi del mondo e, in contemporanea, con lo sviluppo del commercio mondiale.
La completa evoluzione della globalizzazione è stata favorita dalla riduzione dei costi di trasporto e dall’aumento delle comunicazioni multimediali: un processo che investe il nostro tempo e che ha creato smisurate trasformazioni in campo economico, politico, sociale, culturale e ambientale. Il rovescio della medaglia ci mostra guerre, crisi economiche e terribili problemi ambientali.
La grave crisi ambientale che tormenta il nostro tempo è frutto dell’atteggiamento devastatore dell’uomo nei confronti della natura: nel tentativo di rendere il proprio spazio più confortevole e adatto ai propri bisogni, l’uomo ha cercato di trasformare la natura, alterando il delicato equilibrio uomo-ambiente. Un equilibrio fragile, instabile, messo in pericolo e gravemente compromesso dalla crescita delle aree urbane e industriali.
I Paesi sviluppati hanno fondato il proprio modello di crescita economica sulla diffusione di beni e servizi di consumo utilizzando intensamente le risorse naturali per le loro produzioni, sia direttamente nei processi industriali sia indirettamente per la creazione di energia e per il deposito dei loro scarti. Sicuramente la mancanza di considerazione e rispetto per la natura, frutto di un’insufficienza di conoscenze e valori, ha portato la società del nostro tempo a minacciare l’equilibrio e la sopravvivenza del nostro pianeta.
La supremazia del modello capitalistico, l’industrializzazione, l’ossessiva crescita economica globalizzata sono innegabilmente responsabili del degrado ambientale, un vero e proprio attacco alla natura. La conoscenza dei meccanismi che legano l’attività umana ai cambiamenti climatici si è molto evoluta e si può affermare con sicurezza che le emissioni prodotte negli ultimi trent’anni hanno alterato la temperatura del nostro pianeta: indipendentemente da dove viene emesso l’inquinamento, le conseguenze sono globali e superano ormai la capacità di controllo.
Il nostro mondo ha dei limiti di rigenerazione di cui si dovrebbe sempre tener conto nella produzione e nel consumo. La natura ci ha fornito un modello di globalizzazione che è sopravvissuto per milioni di anni senza distruggersi: un dinamico equilibrio fondato sulla diversità, che ha fornito una quantità inimmaginabile di beni.
Durante l’evoluzione, ogni volta che una specie si è riprodotta sino a dominare sulle altre ha subito conseguenze catastrofiche, quali carestie o epidemie, che hanno riportato la sua popolazione ad un livello ragionevole. La natura si è diversificata infinitamente creando una comunità i cui membri dipendono gli uni dagli altri: i predatori dipendono dalla disponibilità di prede e le prede dipendono dalla presenza dei predatori perché le loro popolazioni restino in buona salute e in un numero ragionevole. Nella natura nessuno domina sull’altro ma tutti dipendono gli uni dagli altri in un equilibrio basato sulla diversità.
La globalizzazione, per realizzare fini di sviluppo, pace e sicurezza, dovrebbe ispirarsi alla natura e basarsi su semplici principi di rispetto, solidarietà ed equilibrio. Rispetto di tutte le comunità nella diversità delle loro culture e delle loro economie che si sono evolute grazie a uno stretto legame con l’ambiente. Rispetto della natura e dell’ambiente, l’origine da cui dipendiamo, nonostante il delirio di onnipotenza dato da capacità industriali e superbia.
Il processo di globalizzazione andrebbe completamente ripensato per favorire davvero uno sviluppo equo che lotti concretamente contro il divario economico, che dia il giusto valore allo sfruttamento delle risorse naturali e che promuova un rapporto equilibrato tra uso e conservazione dei beni essenziali che la terra fornisce all’uomo.
Il pericolo davvero incombente è che questa totale negligenza ambientale finisca per pregiudicare le stesse capacità rigenerative del nostro unico mondo.