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“Il sol dell’avvenire”: film duro, di stile complesso. Ma con una speranza

Viaggio ingarbugliato ma vivo, affascinante, senza ammiccamenti al pensiero positivo imperante. Racconto pieno di sogni svaniti e di poesia

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Provo a raccontarvelo un po’, il film italiano acclamato a Cannes. Qualche sera fa con la mia amica ho deciso di andare a vedere l’ultimo film nelle sale di Nanni Moretti, “Il sol dell’avvenire”. Già il titolo la dice lunga sul senso di delusione del regista. «Facciamoci del male – ci siamo dette -: saranno due ore di depressione. Ma insomma Moretti merita questo piccolo sacrificio».

E via, siamo entrate senza tentennamenti. Ci siamo stese su quelle nuove poltrone reclinabili dei cinema (che ricordano tanto quelle dello psicoanalista della prima ora) e ci siamo lasciate portare. Dove?

Non lo so esattamente. È stato un viaggio ingarbugliato ma vivo, dio mio, affascinante, senza sconti, senza ruffianerie, secco e sincero, brutale direi, senza ammiccamenti al pensiero positivo imperante o a questo e quel potere, produzioni comprese. Consapevole, lui, Moretti, del rischio di essere emarginato; anzi, quasi certo di esserlo, in un mondo governato non più dal libero pensiero ma dai grandi capitali e dai grandi numeri, lo dice chiaramente.

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Duro da digerire, certo, un malloppone tosto, che molti di noi avvertono muoversi dentro, senza riuscire a manifestarlo con le parole, un po’ perché non ne hanno chiarezza, un po’ per tema di essere considerati negativi. Tutt’al più finiscono in analisi. Moretti invece prende il malloppone per le corna e lo trasforma in arte, facendone materia di un bel film che non ha nemmeno una vera e propria trama.

Già. Se vi dovessi raccontare come si snodano gli eventi non saprei neanche farlo. Davvero! Non c’è un vero e proprio racconto. È una scrittura per flash, visioni, un treno dove si cambia vagone ogni momento: si va negli anni 50 poi si torna al presente, poi si esce dal film e si entra nella realtà, si fa un salto in un potenziale futuro, poi di nuovo si cambia vagone e si riparte nel racconto cinematografico, come a cercare il momento esatto in cui “lo sfacelo” politico, umano e sociale di oggi è iniziato, senza che ce ne accorgessimo («La banalità del male», ci ricorda il regista).

Ma quando ci è successo di diventare così? Siamo pieni di psicologi, di esperti, di studiosi, di intellettuali ma nessuno ha capito niente? Nessuno è riuscito a fermare questa deriva? Si interroga e ci interroga Nanni Moretti, più spaesato che depresso, più schifato che melanconico, sentendosi completamente fuori sintonia con la maggioranza del mondo.

Un film lucido, ostinatamente contro, pieno di sogni svaniti e di poesia. Insomma, un casino pazzesco, ma un bel casino!! Una sorta di metaverso cinematografico, dove i confini tra vero e non vero sfumano. È un entrare e uscire continuo da sé, in tanti luoghi che poi capisci essere tutti la declinazione dello stesso unico luogo per eccellenza che Moretti vuole raccontare nel film: la sua anima dolente di fronte ad un mondo che non somiglia minamente al mondo che sognava e che voleva creare.

Non solo non c’è riuscito, ma sembra essere rimasto l’unico sulla Terra a non essere cambiato rispetto a quel sogno. Gli altri intorno a lui si sono tutti adeguati e rassegnati al nuovo ordine delle cose. Che tristezza per Moretti! La sua delusione è totale, una depressione non psicologica, ma esistenziale, cioè personale ma anche politica, umana, sociale, affettiva. Un fallimento completo.

E tutto sarebbe tragico se non fosse reso comico dal sense of humor che compenetra ogni suo ragionamento. Un doppio binario di sensibilità che ricorda tanto Giorgio Gaber. Ti fa ridere e piangere insieme. Soli pochi ci riescono! 

Tutta questa complessità si riversa sul piano stilistico con una scrittura articolata, interattiva, che ti costringe a stare sveglio, a partecipare. Se ti distrai in un attimo perdi il filo e non ti trovi più. Il film è ricco di riferimento musicali e cinematografici, in particolare di citazioni felliniane: quella del circo e la sfilata finale, dove Moretti, dopo tanta spietata  analisi, indica e in qualche modo trova una sua personale speranza di salvezza. Forse l’unica al momento possibile.

Comunque almeno si pone la domanda, soffre, tenta. E di questi tempi di “superficialismo estremo” (si può dire?) mi pare davvero una gran cosa!

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Laura Frangini
Laura Frangini
Giornalista pubblicista, con studi in Letteratura Arte e Spettacolo, amo scrivere recensioni librarie, artistiche, teatrali e cinematografiche Nel corso degli anni ho lavorato soprattutto come ufficio stampa. Ho ricoperto la direzione dell'ufficio stampa dell'ente montano dei Castelli Romani acquisendo conoscenza del territorio, della sua storia e delle caratteristiche culturali. Ho una predilezione per Musei Arte e Libri. Ne ho scritto uno dedicato alla pratica della Skowlife, ovvero quella vita lenta, di cui mi pregio di essere cultrice ed esperta nonché praticante meticolosa! In "Slow Life, Maledetti Castelli", edito nel 2021, racconto appunto un ritmo dolcemente molle e introspettivo che questi luoghi sono capaci di regalare. Così come io spero di regalarne a Voi qualche bella storia da raccontare! ♥️
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