Ieri, l’ultimo saluto all’attrice Monica Vitti in Campidoglio, morta all’età di 90 anni. Un saluto che non è certo un addio. La Vitti ormai si è infilata nel nostro sistema linfatico per restarci, è lo spike virus della comicità che ti agguanta le cellule e non lo lascia più. Come Albertone, Nino Manfredi e pochi, pochissimi Altri. Simbolo di italianità. L’altra sera ho tradito un po’ Sanremo per Lei (scusa Ama!). Davano “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” su Rai 3, non ho resistito, me lo sono dovuto rivedere! Voi?
No, non tanto per fare un omaggio alla sua scomparsa (in fondo era già lontana da tempo, in un mondo tutto suo), ma proprio perché mi fa ridere da matti, ogni benedetta volta! Eppure il film è triste, con un finale tragico, che oggi sarebbe anche politicamente scorretto.
Perché? Perché lui ammazza lei per gelosia, ma lei lo perdona per amore, ecco perché. Un femminicidio bello e buono. E il colmo è che che lo perdoni pure tu che guardi il film, tanto è toccante la disperazione di lui (un grande Mastroianni). Capite lo sconcerto?
Ti pare di sentirli sulla tua pelle il desiderio, la mancanza, la solitudine dei personaggi, l’amore e la follia. Tutto ovviamente ridendo a più non posso; è la forza della comicità che svela il tragico dell’esistenza, e lo fa meglio del dramma, si sa.
I film migliori della Vitti sono così, delle tragicommedie. Storie di donne fragili, tenere, in balia perenne dei sentimenti e di uomini sbagliati. In definitiva donne perdenti – vivaddio! – vere, umane, commoventi, che ti fanno sentire normale e ti mettono in pace con i tuoi limiti, con le tue piccole o grandi sconfitte, almeno per un’ora e mezza. Tutto il contrario dei personaggi di oggi, virago senza paure, cazzute di successo con la risposta sempre pronta. E tu che le guardi e ti senti come sul tapis roulant: corri corri, ma non le raggiungi mai.
Monica no. Lei ti tranquilizzava, ti diceva: «E vabbè, siamo fatte cosi, che sarà mai!». Senza spigoli, senza durezze, ridendo. Ti confortava. Era dolce, rotonda, morbida, anche nella ribellione: una cosa che noi abbiamo perso, temo. La sua era una donna che aveva la forza speciale dei deboli, ovvero il coraggio di perdere, di buttarsi in amore senza rete, di rincorrere un sentimento puro al di sopra delle convenienze e della banalità. I suoi personaggi amavano troppo o troppi uomini alla volta e spesso quelli sbagliati. Storia nota.
Lei cercava l’amore e trovava le sberle (“Amore mio aiutami”), lo sfruttamento (“Teresa la ladra”), la delusione (“Polvere di stelle”) e pure una bella forbiciata nello stomaco (“Dramma della gelosia”). Eppure vinceva sempre lei, con la sua gioia di vivere, di ascoltare il cuore, di continuare ad essere libera e vera, senza preoccuparsi di essere “giusta”. L’ immagine finale di “Teresa la ladra” che corre libera nei prati seppur povera e malata, riassume tutto.
La Vitti la conobbi brevemente molti anni fa, e di lei ricordo questo: un candore e un puntiglio infantili. Una bambina che giocava al gioco della Vita e dell’Arte con grandissimo divertimento e sincero stupore. Con i suoi personaggi ci ha fatto comprendere i nostri limiti e insieme le potenzialità, ma sempre con tenerezza, sorridendo.
Un grande dono, il suo. Unico. Impagabile. Forse è per questo che le vogliamo tanto bene?