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Medioriente, allarme ai massimi storici

Rischia d'allargarsi il conflitto tra Hamas e Israele, impegnato ora anche nello scambio di raid missilistici con l'Iran, sebbene solo blandi

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Nelle ultime due settimane, il conflitto tra Israele ed Hamas ha rischiato di allargarsi e diventare una guerra regionale. Un’escalation che nessuno sembra volere, ma che, visto quanto accaduto, sembrerebbe non essere più una possibilità così remota. Ad accendere i timori di un allargamento del conflitto è stato lo spettacolare attacco lanciato per la prima volta dall’Iran verso Israele sabato 13 aprile.

Per quanto possa sembrare strano, “spettacolare” è forse proprio l’aggettivo più indicato per descrivere quello che è stato a tutti gli effetti una dimostrazione di forza da parte dell’Iran. Circa 170 droni, 120 missili balistici e 30 missili da crociera sono stati ripresi da innumerevoli cittadini mentre attraversavano i cieli del Medio Oriente diretti verso il bersaglio. 

E no, l’obiettivo dell’attacco non era chiaramente quello di colpire fisicamente Israele. I droni hanno infatti impiegato diverse ore a raggiungere il territorio israeliano e, seppur l’attacco non sia partito solo dall’Iran ma anche da paesi con forze ad esso affiliate come la Siria, l’Iraq e lo Yemen, non vi erano comunque molti dubbi sul fatto che Israele sarebbe stato in grado di difendersi. Il 99% dei missili e droni che hanno raggiunto Israele sono stati infatti intercettati e distrutti dai suoi sistemi di difesa.

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Anche gli Stati Uniti e vari stati alleati, quali il Regno Unito, hanno contribuito nell’abbattere i missili e droni in difesa di Israele. Ma il punto non è questo. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian ha infatti poi riferito che gli Stati Uniti e i paesi nella regione erano stati avvisati ben 72 ore prima dell’attacco. L’obiettivo non era colpire, ma dimostrare di avere le capacità per farlo qualora ce ne fosse bisogno in futuro. Una tattica di deterrenza, dunque, che oltre a servire da monito a Israele ha permesso all’Iran anche di mostrarsi come un paese forte che non si lascia intimidire dal nemico.

Seppure attacchi informali tra Iran e Israele avvengano da tempo, quella che i due paesi combattono è stata finora una guerra per procura. Ed è proprio a Damasco, in Siria, uno dei paesi su cui l’Iran esercita una grande influenza e che è ricco di basi militari iraniane che fanno da ponte permettendo un rifornimento di armi a Hezbollah in Libano, che Israele il 1° aprile avrebbe superato una linea rossa che difficilmente poteva essere ignorata.

In un attacco missilistico israeliano al consolato iraniano, tra le altre vittime, era infatti rimasto ucciso Mohamed Reza Zahedi, figura di spicco delle Guardie Rivoluzionarie, l’esercito ideologico dell’Iran. L’obiettivo israeliano sarebbe stato proprio quello di interrompere la catena di rapporti tra gli Ayatollah ed Hezbollah. Tale attacco, che stando al diritto internazionale equivarrebbe a un attacco diretto nei confronti dell’Iran, è di fatto stata la miccia che ha portato al contrattacco iraniano senza precedenti.

Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’attacco iraniano, i principali alleati di Israele, primi fra tutti gli Stati Uniti, hanno fatto pressione affinché quanto accaduto non generasse un’ulteriore escalation nella regione, di fatto suggerendo a Israele di non ricambiare l’attacco. Tuttavia, il premier israeliano Netanyahu, nell’ultimo periodo meno popolare che mai tra i cittadini israeliani, non si è tirato indietro e il 19 aprile ha lanciato un attacco missilistico contro una base iraniana a Isfahan, situata nel centro dell’Iran. 

L’attacco, anch’esso di valore più simbolico che altro, non ha causato gravi danni e, secondo molti analisti, Netanyahu avrebbe deciso di cogliere l’opportunità datagli dall’Iran di contrattaccare per cercare di ripulire la propria immagine a livello nazionale, la quale è stata fortemente macchiata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre.

L’attacco iraniano in realtà avrebbe fatto gioco a Israele anche sotto un altro punto di vista. Se nell’ultimo periodo antecedente all’attacco Israele aveva cominciato a perdere supporto su larga scala a livello internazionale e rischiava di rimanere isolato nella sua guerra contro Hamas, l’Iran con il suo attacco ha riavvicinato gli Stati Uniti e i loro alleati a Israele, uniti contro un nemico comune che minaccia la regione.

Ad ogni modo, nonostante il contrattacco israeliano, la faccenda sembra essere chiusa e al momento non si teme un’escalation, seppure l’allerta rimanga ai massimi storici.

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Emanuele Gualandri
Emanuele Gualandri
Laureato in Politica e Diritto internazionale all'Università Statale di Milano. Ha lavorato su Milano come videogiornalista occupandosi di casi di cronaca locale e nazionale nonché politica e movimenti sociali. Ha realizzato analisi sotto forma di video-approfondimenti su YouTube per la pagina di informazione “inBreve”, attirando migliaia di visitatori. Al momento si trova a Bruxelles per conseguire un master in giornalismo e media alla Vub (Vrije Universiteit Brussel).
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