«Perché costringere gli atleti a indossare la mascherina sul podio olimpico, quando non c’è pericolo e dovrebbero poter cantare liberamente l’Inno nazionale?», è l’interrogativo che in questi giorni molti si pongono sui social. E in effetti nelle immagini televisive si vedono atleti sul podio, distanziati dagli altri, con la mascherina, che poi tolgono una volta scesi e che, ovviamente, non indossano durante la gara. E allora, perché sul podio, di fronte alle telecamere e mentre suonano gli inni nazionali, indossano la mascherina?
Perché il gesto di un personaggio pubblico degno di ammirazione in un momento particolarmente seguito ha un valore simbolico enorme per tutte le persone che lo seguono: più di mille parole e articolate spiegazioni scientifiche. Come simbolico, d’altronde, è cantare l’inno nazionale, abitudine recente, nata in tempi di “esibizionismo”: se volessimo davvero onorarlo dovremmo ascoltarlo in silenzio con rispetto e sentirlo dentro di noi come si fa con ogni sentimento vero, non “esporlo” magari storpiandolo.
Mi viene in mente, a proposito dell’abitudine di “esporre” il valore dell’Inno nazionale cantandolo, l’insegnamento che attraverso lo studio dei classici viene dal (simbolico anch’esso) silenzio di Renzo Tramaglino all’osteria della Luna piena, quando seppur sbronzo non si abbandona ad esporre il suo più prezioso sentimento.
Ma non vorrei prestare il fianco alla solita discussione da social sulla “supponenza da intellettuale” rispetto al valore universale della “università della strada”.