Nell’ormai lontano 1992, il politologo americano Francis Fukuyama ha sviluppato il concetto di fine della storia. L’interpretazione letterale di questa espressione è simile alla sua natura logica. Fukuyama affermava, infatti, che la storia come la conosciamo noi, quella che si studia sui banchi di scuola e permea la nostra conoscenza, si conclude con la fine del XX secolo, dopo che l’evoluzione politica e anche sociale dell’umanità ha raggiunto il suo apice.
Ecco, lo scontro nello Studio Ovale della Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky è uno di quegli eventi così d’impatto visivo e storico che confutano la teoria di Fukuyama: la storia sembra ancora ben lungi dall’essere finita. Ovviamente, questa non è altro che una forzatura accademica, ma la portata di ciò che è accaduto venerdì 28 febbraio a Washington D.C. si sta persino sottovalutando, nonostante se ne stia parlando in maniera massiccia da giorni.
La Sala Ovale allestita come se fossimo negli studi televisivi della Fox, i giornalisti in veste più di spettatori non paganti che nei loro ruoli effettivi, i due protagonisti al centro di fronte alle telecamere e il vice presidente JD Vance alla sinistra del presidente, pronto a dargli manforte e lanciare stoccate a Zelensky. Sembra stiamo parlando dell’inizio di un confronto tra concorrenti di un talk show, mentre in realtà è semplicemente uno degli appuntamenti diplomatici più importanti degli ultimi anni.
Da Donald Trump abbiamo cominciato ad aspettarci di tutto a livello politico, ma a livello comunicativo si sta decisamente superando in questa sua seconda presidenza. Nella stessa settimana, aveva pubblicato sul social network Truth un video confezionato con l’intelligenza artificiale della sua visione del conflitto israelo-palestinese: palme, spiagge assolate, benessere e Trump col suo amico Elon Musk impegnati a sorseggiare un cocktail sulla spiaggia di Trump Gaza; proprio questo il nome dato alla nuova Gaza che proprio il presidente americano vorrebbe realizzare. Guerra risolta, e diplomazia a quel paese.
Ora, immaginiamo di addormentarci due anni fa e risvegliarci solo oggi: faremmo fatica a credere a tutto ciò che sta avvenendo e a tutto ciò che i nostri occhi avrebbero la sfortuna di vedere. La faciloneria con la quale Trump e i suoi si sono messi in testa di affrontare le spinose questioni politiche del nostro mondo è inquietante. Deve far riflettere anche l’elettorato di Trump in America, ma anche quella parte, politica e non, che in Europa appoggia il tycoon. Al netto di posizioni ideologiche, è davvero questo il modo in cui si possono risolvere le guerre?
L’Europa in tutto questo, fa la parte della spettatrice, come spesso accade in merito a questioni di portata internazionale. Alle prese con indecisioni, stalli, correnti, correntine e correntucce interne, l’Unione Europea rimane marginale per importanza e per azioni intraprese. E intanto Trump detta la linea, molto poco politica e molto più comunicativa. Non sarà la fine della storia, ma è sicuramente la fine della diplomazia. Oltre che l’inizio di un pericoloso e costante talk show trash su questioni tutt’altro che trash. Mala tempora currunt, sed peiora parantur: corrono brutti tempi, ma peggiori stanno per arrivare.