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Libri: una raccolta che fa luce sulle ombre che avvolgono Luigi Tenco

“Lontano, lontano. Lettere, racconti, interviste” (Il Saggiatore): un faro sulla vita del cantautore che ci ha lasciato durante Sanremo 1967

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«Marisa, credimi, vorrei tanto fare lo spazzino per poter dormire tranquillo la notte senza paura di ciò che mi porterà il domani»: sembra strano che a pronunciare queste parole sia stato Luigi Tenco, come si evince dalla raccolta Lontano, lontano. Lettere, racconti, interviste (Il Saggiatore, 2024, a cura di Enrico de Angelis ed Enrico Deregibus).

Qualcuno potrebbe trovare tali parole persino oltraggiose, se non sapesse quanto il cantautore italiano fosse restio alla vita pubblica, alla visibilità e alle responsabilità che il suo mestiere (che lui ha sempre definito un hobby) gli imponeva. Il grande pregio di questa raccolta è infatti, fare luce sulle ombre che da sempre hanno accompagnato la figura di Luigi Tenco, intorno alla quale molto si è detto.

I suoi progetti fin da giovane sono laurearsi (lascerà la facoltà di Ingegneria per iscriversi a Scienze Politiche), imparare le lingue, diventare un giornalista: ama leggere e uno degli scrittori che ammira è Cesare Pavese, con cui condivide molto: il carattere schivo, le origini piemontesi, la scrupolosità nel lavoro, e la fine, improvvisa e tragica. «La persona che amo di più è la mia mamma, si chiama Teresa», scrive in un tema a scuola il 15 ottobre del 1946: ha 8 anni, ma quell’amore, quel bisogno di non deludere sua madre non svaniranno mai. Anzi diventeranno un pensiero fisso, al punto che nel 1965, realizzerà per lei una delle sue canzoni più belle: Vedrai, vedrai.

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Luigi Tenco sa scrivere, è consapevole di avere delle cose da dire e desidera che chi lo ascolta lo capisca, ma non ambisce a diventare famoso. Anzi la popolarità lo disturba e teme che cantare potrebbe in qualche modo danneggiare la sua carriera universitaria, perciò fa di tutto per pubblicare il suo primo album con un altro nome. 

Ha un certo fascino sulle donne e ha gusti precisi che non esita a esprimere in varie interviste: donne apparentemente forti, indipendenti, spregiudicate, lontane dal canone delle brave ragazze, in quel momento incarnato da Gigliola Cinquetti. Ha un volto cinematografico e questo gli permette di ottenere la parte da protagonista di un film di Luciano Salce nel 1962, La cuccagna, in cui interpreta un antieroe sulla scia, appunto, dei personaggi di Pavese.  Si diletta anche a buttare giù dei racconti e qualche soggetto.

Non ha paura di esprimere le sue opinioni, anche quando sono scomode, contraddittorie, non amabili: «Perché il destino di Luigi Tenco è sempre stato quello di non essere capito» (articolo tratto da una rivista non identificata datato novembre 1966). E questa incomprensione raggiungerà il culmine il 27 gennaio del 1967, durante l’ultimo Sanremo della sua vita, che ne segna tragicamente la fine.

«Secondo te, sono tanti o pochi gli uomini che oggigiorno hanno delle idee?», gli chiede Fiorella Marino in una bella intervista datata 1964, e fedelmente riportata in questa raccolta. «Pochi – risponde Tenco -. E anche le idee, parlo di quelle chiare, sono poche. Ma la colpa è dell’epoca, non degli uomini. Manca la forza di volontà di realizzarla; manca la voglia di trasformare questa epoca di transizione in qualcosa di meno banale».

Luigi Tenco è un cantautore impegnato, come molti della sua generazione: ma a differenza di altri, in lui l’impegno (sociale e politico) è indissolubile dall’anima, dalla vita, dalle parole, persino dal modo di intendere l’amore e le relazioni.

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Elisa Carrara
Elisa Carrara
Giornalista pubblicista, mi occupo di cultura, diritti umani e geopolitica. Ho scritto su Flanerí, Limina e MagO, la rivista della scuola Omero. A volte ufficio stampa per il terzo settore.
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