Il tema delle morti bianche è da sempre al centro della discussione quando si parla di lavoro. Forse il termine stesso non è il più corretto perché troppe volte di “bianco”, cioè di incolpevole, non c’è nessuno. Le morti sul lavoro, infatti, salvo i casi imprevedibili, spesso sono evitabili.
Ogni sei minuti nel mondo muoiono 25 persone in incidenti sul lavoro; ogni ora in Africa e Asia muoiono 13 bambini circa. In Italia ci sono 4 morti sul lavoro al giorno, più di 100 al mese, 1.394 all’anno. I costi di questa strage planetaria ammontano a 1.251 miliardi di dollari, pari al 4 per cento del Pil mondiale, una cifra 20 volte superiore ai fondi stanziati per lo sviluppo. In Italia il costo sociale degli incidenti sul lavoro è stimato intorno ai 104 miliardi di euro, pari al 6% del Pil.
Questi dati, elaborati dall’International Labour Organization dell’Onu nel 2022, tengono conto solo delle stime ufficiali, dei dati denunciati e rilevati ma non del sommerso e del lavoro nero. Una guerra quotidiana che ha mietuto stanotte, sulla ferrovia di Brandizzo, le ultime vittime. Arrivare poi alla locuzione “lavorare uccide” forse è esagerato, ma la sicurezza sul lavoro è e dev’essere un tema di primaria importanza.
Non si può morire di lavoro ma non si dovrebbe nemmeno rischiare di infortunarsi, o essere sfruttati e lavorare 12 ore al giorno con paghe misere. Sono casi limite, volutamente generici, ma di esempi concreti da fare ce ne sarebbero decisamente troppi. Le principali cause d’incidenti sul lavoro, nell’insieme dei settori di attività, sono le seguenti: la movimentazione delle merci; le cadute da terra; le cadute dall’alto; l’uso di utensili; le masse in movimento. Perché?
Perché il datore di lavoro pressa, ma non è corretto vedere sempre e solo nel “padrone schiavista” la causa di tutti i mali: questo è propagandistico e riduttivo. Spesso la questione sicurezza è palesemente disattesa dagli addetti ai lavori, per motivi differenti.
Quelli che lavorano da anni e svolgono una mansione da quando «tutte queste norme non esistevano e non mi sono mai fatto nulla» sono restii ad adeguarsi ai nuovi standard di sicurezza anche quando il datore di lavoro dà loro tutti i mezzi e la formazione per comprendere i rischi reali della mansione che svolge. Oppure dai più giovani e inesperti che, però, per far vedere che loro sono invincibili, entrano in cantiere senza l’abbigliamento adeguato e via di fila.
Con questo, lungi dal voler affermare che nel caso di Brandizzo sia colpa degli uni o degli altri. Saranno gli inquirenti a dirlo. Ma, da giurista d’impresa, devo dire che è davvero straziante assistere all’ennesima trafila di potenti (nessuno escluso) che si recano sul luogo della strage per dire la loro verità basata quasi sempre e solo sulla propaganda. Perché di come funziona una azienda, di cosa davvero voglia dire lavorarci (dove ogni ruolo e mansione ha le proprie responsabilità e ciascuno deve essere chiamato al rispetto degli standard di sicurezza) non ne hanno la minima idea.
Ed è inutile continuare a chiedere commissioni di inchiesta o varare nuove norme. Non servono nuove leggi, basterebbe applicare quelle che ci sono. In effetti, tutti coloro che svolgono attività di sicurezza sul serio sanno che le leggi ci sono e basta applicarle. Ma questo è il problema. L’applicazione della norma che nel nostro Paese è più di forma che di sostanza. Come l’intervento delle Istituzioni o dei sindacati. Tanto, a rischiare, non sono mai loro.