Sabato 10 il Corriere della Sera ha pubblicato a pag. 4 una tabella dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate dedicato alle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche. La tabella suddivide i contribuenti in dieci scaglioni di reddito annuo e per ogni scaglione indica la percentuale che esso rappresenta sul numero totale dei contribuenti italiani e la percentuale che l’imposta da loro pagata rappresenta sul gettito Irpef totale.
Tanto per farla breve emerge che un quarto dei contribuenti italiani (il 24,97%) rientra nel primo scaglione di reddito, da 0 a 7.500 euro annui, e paga praticamente niente, cioè solo lo 0,12%!
Per avere una visione più generale e immediata della situazione mi sono divertito a disegnare a mano una seconda tabella in cui ho raggruppato i contribuenti in soli tre scaglioni, che rappresentano comunque oltre il 99% dei contribuenti totali e più del 90% del gettito totale Irpef. I tre scaglioni in oggetto sono quelli con un reddito annuo da 0 a 20.000 euro, da 20.000 a 100.000 euro e da 100.000 a 200.000 euro. Ho lasciato fuori solo i contribuenti con reddito annuo superiore a 200.000 euro che sono lo 0,22% del totale e rappresentano l’8,88% del gettito.
Ebbene il quadro che emerge è che in Italia: il 58% dei contribuenti copre solo l’8% del gettito Irpef; un altro 40% di contribuenti ne copre il 71%; l’1% dei contribuenti, quelli con reddito da 100.000 a 200.000 generalmente additati come “super-ricchi” e da sempre i più tartassati in fatto di addizionali, imposizioni straordinarie, “una tantum”, contributi di solidarietà, eccetera, copre da solo l’11% del gettito nazionale Irpef.
Mi sono poi divertito, si fa per dire, a calcolare quello che nella mia tabella ho chiamato “coefficiente di contribuzione” e cioè il quoziente derivante dalla divisione della percentuale di gettito per la percentuale di contribuenti per ciascuno scaglione.
A cosa può servire questo dato? Non ne sono certo ma secondo me potrebbe essere: a) un indicatore dell’ampiezza del fenomeno della evasione fiscale; b) un indicatore degli effetti della progressività delle aliquote Irpef. Vediamo in che modo.
Se dividessimo il gettito Irpef per il numero totale dei contribuenti verrebbe fuori che tutti i contribuenti pagano in assoluto la stessa cifra, a quel punto il “coefficiente di contribuzione” sarebbe pari a 1 per tutti. Ma non ci sarebbe più alcuna correlazione col reddito né alcuna progressività delle aliquote impositive, due cose che invece sono alla base dell’equità fiscale!
Quando però nell’ipotesi del primo scaglione della mia tabella, quello con redditi da 0 a 20.000 euro l’anno e il coefficiente pari a 0,14, si vede che per coprire 1 punto percentuale di gettito Irpef occorrono circa 7 punti percentuali di contribuenti (vale a dire che in quella che ambisce a restare una delle prime dieci potenze economiche del mondo il 58% dei contribuenti, come sottolineato prima, copre solo l’8% del gettito) può anche venire il dubbio che, a meno di non essere una grande potenza economica mondiale bensì un Paese abbastanza povero, qualcuno ci marci e non dichiari tutto il proprio reddito.
Se poi andiamo a vedere come all’interno del terzo scaglione, quello con redditi da 100.000 a 200.000 euro l’anno, appena l’1% dei contribuenti copra da solo l’11% del gettito totale ci si può fare un’idea forse un po’ più precisa degli effetti della progressività delle attuali aliquote Irpef.
Se infine consideriamo come il cosiddetto “coefficiente di contribuzione” del terzo scaglione da me preso in considerazione risulti ben 78 volte più alto di quello del primo scaglione (11 contro 0,14) si potrà allora convenire che i contribuenti di questa categoria saranno anche degli pseudosuper-ricchi ma non si può certo dire che fiscalmente non facciano la loro parte!