Nutrirsi è fornire al nostro organismo alimenti e sostanze necessarie per consentire la vita, la crescita, lo sviluppo: nutrirsi bene, male, troppo, poco ma non certo a danno della salute e dell’ambiente. Il nutrirsi dovrebbe essere anche un piacere, ultimamente sempre più rovinato dai dubbi sulla qualità di ciò che mangiamo. Mille dubbi su quali pesticidi stiamo assumendo con una porzione di frutta, quanto mercurio con un pesce, quanta plastica con un bicchiere d’acqua o quanti antibiotici con una fettina di carne e ancora quanta parte di natura ha devastato il cibo che ora è sulla nostra tavola. Tutto il settore alimentare deve essere ripensato per poter offrire cibo sano e sostenibile.
Se siamo soliti comprare carne, latte, formaggi e uova in un supermercato della grande distribuzione, è certo che provengano da allevamenti intensivi: vere e proprie industrie zootecniche che si occupano di far crescere e riprodurre animali a scopo alimentare con la finalità di abbassare i costi di produzione di un bene che ha subito un incremento di ben 5 volte dagli anni 50 ad oggi. Le industrie zootecniche hanno poco a che vedere con l’immagine della classica fattoria: spazi sovraffollati, luce artificiale o assenza di luce, gabbie, minima possibilità di movimento e abuso di medicinali e antibiotici per contrastare l’insorgenza di patologie.
Ogni anno nel mondo sono circa 70 miliardi gli animali che vengono allevati intensivamente per le varie produzioni alimentari ma tutto ciò ha conseguenze ambientali e sanitarie importanti.
Per soddisfare una richiesta così elevata serve una produzione molto alta e veloce: non è possibile aspettare i tempi naturali di crescita degli animali da reddito, ridotti a semplici oggetti da gestire in modo tale da ottimizzare tempi, spazi e spese. Spazi sovraffollati, alimentazione iperproteica per favorire lo sviluppo rapido e l’aumento della massa muscolare, a scapito della qualità, sono alcuni dei motivi per cui il prezzo resta basso. Questo sfruttamento eccessivo ha conseguenze non solo sugli animali ma anche sull’ambiente e sulla nostra salute.
Le deiezioni o liquami e altre sostanze di scarto, ricchi di fosforo, azoto, potassio, ormoni e antibiotici, vengono sparsi nel suolo, spesso in modo illecito, andando di fatto a contaminare le acque superficiali e quelle di falda, contribuendo in modo considerevole al fenomeno dell’eutrofizzazione.
Al problema della contaminazione dell’acqua si aggiunge anche quello dell’impronta idrica (quantità di acqua utilizzata in un qualsiasi processo di produzione). Il settore necessita di enormi quantità di acqua: quasi un terzo del consumo nelle attività umane è impiegato per l’allevamento; per la produzione di un chilogrammo di manzo sarebbero necessari 15.415 litri di acqua.
Il bestiame diffonde gas serra in modo diretto, il 15% del totale di tutte le emissioni di origine antropica, come sottoprodotto della digestione: bovini e ovini emettono una quantità significativa di metano per fermentazione nel loro stomaco. Le deiezioni diffondono nell’aria ossido d’azoto e ammoniaca che, combinandosi con altre sostanze inquinanti, danno vita alle famose polveri sottili: i veicoli a motore contribuiscono meno degli allevamenti a contaminare l’aria che respiriamo.
Il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggior fattore d’uso antropico della terra: la gran parte delle monocolture mondiali di cereali e soia sono destinate alla produzione di foraggi e mangimi per gli allevamenti intesivi. L’area deforestata dell’Amazzonia è usata per la coltivazione della soia e per il pascolo di bovini, ma dopo pochi anni, il suolo andrà verso un processo irreversibile di desertificazione e quindi diventerà necessario abbattere una nuova porzione di foresta, in un circolo vizioso che degraderà sempre più l’ambiente.
Dati gli spazi ristretti in cui gli animali allevati in modo intensivo sono rinchiusi è facile la trasmissione di malattie e patologie. Per questo motivo vengono somministrati medicinali e antibiotici per impedire che si ammalino. Queste sostanze non svaniscono in seguito alla macellazione ma finiscono nella nostra catena alimentare rendendoci resistenti agli antibiotici stessi. Inoltre, aspetto forse meno considerato, il settore è responsabile della perdita di biodiversità, perché foreste e aree incontaminate devono cedere il passo a terreni a uso agricolo/zootecnico.
Negli ultimi anni si è assistito, grazie a massicce campagne di sensibilizzazione, a una graduale spinta verso sistemi di allevamento più etici: soluzioni comunque lontane dal naturale sviluppo degli animali. Quelli descritti sono solo una breve lista dei fenomeni più preoccupanti ma pensiamo a quale ultima conseguenza può portare il continuare in questa direzione.
E noi consumatori in cosa possiamo essere utili per il cambiamento? Siamo la soluzione!
Cominciamo a consumare meno carne: per i nostri nonni era un cibo dei giorni festivi, per noi è quasi quotidiano. Preferiamo le piccole macellerie di quartiere che lavorano, forse, ancora animali allevati localmente in modo rurale. Se abbiamo a cuore il futuro del nostro unico mondo, è giunto il momento di fare delle scelte coraggiose, anche a tavola!