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Nuovi giornalismi e deontologia: “manuale di sopravvivenza” per l’informazione nell’era delle fake news

Un salto di qualità che permetta di includere nuove professionalità capaci di navigare nel mare in tempesta dell’online e affrontare la crisi del lavoro

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C’è vita nell’universo del giornalismo italiano? Sì, secondo quanto emerge dal webinar che la Fondazione “Paolo Murialdi” ha recentemente svolto in occasione del 15º anniversario della scomparsa del giornalista e scrittore di cui porta il nome. A patto che tutti gli attori del sistema – giornalisti, editori e mondo politico – compiano una rivoluzione culturale e abbandonino una volta per tutte l’idea “romantica”, scolpita nella pietra dalle attuali norme di legge, del giornalismo dei tempi del piombo e della linotype, individuando e includendo invece le nuove figure professionali che l’era digitale ha introdotto nel panorama dell’informazione.

Una rivoluzione che permetta di mantenere in vita le regole deontologiche e il sistema di welfare che i professionisti dell’informazione si sono dati in 75 anni di vita democratica di questo Paese. Impresa che appare oggi difficile, nell’era in cui i tweet dei politici e la comunicazione social di aziende e gruppi sociali tende a bypassare l’opera di intermediazione critica e di analisi dei giornalisti, per far giungere al pubblico messaggi senza alcun contradditorio.

Un “manuale di sopravvivenza” dell’informazione

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La ricetta? Una sorta di “manuale di sopravvivenza” dell’informazione professionale nell’era del grande caos generato dal flusso ininterrotto della comunicazione. Un salto di qualità che permetta di includere nuove professionalità capaci di navigare nel mare in tempesta dell’online, dirigendo la rotta del lettore, perché eviti il naufragio sugli scogli delle fake news.

Ne parla il sito “Professione reporter”, osservatorio sul mondo dell’informazione di oggi, ospitando l’intervento di Marco Pratellesi, estratto dalla sua relazione al convegno della Fondazione “Murialdi”, di cui riportiamo il link in fondo a questo articolo. Lo fa alla vigilia dell’appuntamento in cui, domani a mezzogiorno, la Federazione della stampa (Fnsi) e l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) chiamano a raccolta di fronte al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali: “Il destino dell’Inpgi e il futuro dell’informazione”.

«I giornalisti italiani – scrivono Fnsi e Inpgi nel comunicato che lancia la manifestazione – chiedono al governo un cambio di passo e l’apertura di un confronto a tutto campo per individuare le misure necessarie per garantire il rilancio del settore, la ripresa dell’occupazione e la messa in sicurezza dell’Istituto». Un Istituto di previdenza messo in crisi dal forte calo dei contribuenti a causa della perdita di posti di lavoro e dal peso del pagamento degli ammortizzatori sociali che, come ente privato sostitutivo dell’Inps, l’Inpgi paga con le proprie risorse, senza gravare sulle tasse dei contribuenti: mezzo miliardo di euro speso in dieci anni.

Una crisi dovuta ai nuovi strumenti che hanno invaso oggi il mondo dell’informazione, fino a ieri campo esclusivo dei media tradizionali. «Dobbiamo essere noi – dice Pratellesi nel suo intervento riportato da “Professione reporter” – a gestire e a controllare questi strumenti. C’è bisogno anche in Italia di formare una generazione di giornalisti computazionali, in grado di scrivere algoritmi editoriali che abbiano alla base le regole, ma anche i principi etici e deontologici della professione».

Allargamento della platea e regole deontologiche

Ma chi sono questi “giornalisti computazionali”? «Il mondo del lavoro come lo abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa – scrive la presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, nella sua relazione al bilancio preventivo 2021 – non esiste più. […] Se la previdenza è una conseguenza del lavoro, è evidente che di fronte a un mercato del lavoro che cambia così profondamente e così repentinamente gli strumenti utilizzati finora rischiano di non essere più adeguati e sufficienti. […] Noi, che abbiamo subito i colpi di questo cambiamento prima e più drammaticamente di altri, siamo più avanti nell’individuare strade strutturali di sostenibilità. L’allargamento della nostra platea, anticipato al 2021, è sul tavolo del Governo e, nell’ambito del tavolo istituito dalla Presidenza del Consiglio, tutti i nostri interlocutori istituzionali si stanno impegnando a rendere questa soluzione praticabile ed efficace».

Una innovazione normativa, insomma, che è di competenza della politica. E che segua il filo logico dell’apertura alle nuove realtà già varata da un altro organismo dei giornalisti, la Casagit, la Cassa di assistenza sanitaria integrativa, che ha deciso di diventare mutua e aprire i propri servizi al di là dei confini tracciati da una legge, quella che definisce la professione giornalistica, che risale al 1963: l’era gloriosa, ma ormai morta, del piombo e della linotype.

La Casagit ha potuto tracciare la strada perché è un ente autonomo dei giornalisti italiani. Per ridisegnare le norme di legge che definiscono accesso alla professione e accesso all’Inpgi, invece, occorrono leggi dello Stato. Quindi, la politica. Quella stessa politica che, tentata dalla comunicazione diretta via social e dalla propaganda senza intermediazione critica, ancora tentenna.

Una sfida epocale

Una politica che l’Ordine nazionale dei giornalisti, nell’ormai lontano ottobre 2018 (nell’era digitale è come fosse un secolo fa), ha provato a sollecitare approvando delle linee guida di riforma sotto la spinta della corrente progressista della categoria, la componente di “Controcorrente”. Un impulso riformatore naufragato per le resistenze opposte nei fatti dal vertice dell’Ordine e dal Consiglio nazionale: uno degli elementi che hanno portato i rappresentanti di “Controcorrente” a una clamorosa e inedita protesta, uscendo dall’Esecutivo.

«Siamo davanti a una sfida epocale – si legge ancora su “Professione reporter” -, come 30 anni fa con la rivoluzione digitale. E come 30 anni fa siamo rimasti indietro. Ecco perché è importante sperimentare le nuove tecnologie, le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e nuove forme di racconto dei fatti. Il momento è adesso. Aspettare ancora non sarà di aiuto. Né per noi, né per i nostri editori».

È questo l’ “allargamento della platea” a nuove figure di cui parla Macelloni, che si chiamino “giornalisti computazionali”, secondo la definizione di Pratellesi, o che siano altro, nel variegato panorama odierno della produzione dell’informazione professionale.

Mutazione della platea

Siamo rimasti indietro. Colpa dei giornalisti? Colpa dell’Inpgi? Proprio no, leggendo quello che gli amministratori dell’Inpgi dicevano ben più di due lustri fa sulla crisi e sulle proiezioni negative dei contratti di lavoro in essere. Nel 2009, illustrando il bilancio consuntivo di quell’anno, l’allora presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, nella sua relazione aveva dato una visione chiara di quello che stava succedendo e delle azioni che la politica avrebbe dovuto intraprendere già 12 anni fa.

«Il Bilancio Consuntivo del 2009 – scriveva Camporese – rappresenta una fotografia complessa, ma molto precisa, della crisi del settore editoriale nel contesto più ampio della crisi dell’economia italiana e internazionale. Elementi congiunturali e strutturali si intrecciano in modo dinamico, costringendo ad una analisi profonda della mutazione della platea del giornalismo italiano. Alcuni elementi di sistema saranno chiari soltanto alla fine del ciclo economico negativo che interesserà il comparto giornalistico almeno per tutto il 2010, altri sono visibili già nel Bilancio 2009. Emergono contraddizioni tipiche di una fase di veloce evoluzione che andranno monitorate con assoluta attenzione in modo da mettere in atto eventuali misure correttive con la tempestività richiesta dai sistemi previdenziali».

Di chi è la responsabilità di non aver ascoltato, adeguando le norme professionali alla realtà in continuo mutamento, avendo la possibilità di incidere sul cambiamento di leggi di sistema vecchie? A chiedere una risposta a questa domanda saranno domani a mezzogiorno segretario e presidente della Federazione della stampa, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e la presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni. Di fronte al portone del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

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Massimo Marciano
Massimo Marcianohttp://www.massimomarciano.it
Fondatore e direttore di Metropoli.online. Giornalista professionista, youtuber, opinionista in talk show televisivi, presidente e docente dell'Università Popolare dei Castelli Romani (Ente accreditato per la formazione professionale continua dei giornalisti), eletto più volte negli anni per rappresentare i colleghi in sindacato, Ordine e Istituto di previdenza dei giornalisti. Romano di nascita (nel 1963), ciociaro di origine, residente da sempre nei Castelli Romani, appassionato viaggiatore per città, borghi, colline, laghi, monti e mari d'Italia, attento osservatore del mondo (e, quando tempo e soldi lo permettono, anche turista). La passione per la scrittura è nata con i temi in classe al liceo e non riesce a distrarmi da questo mondo neanche una donna, tranne mia figlia.
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