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Gaza: il “ricollocamento” ipotizzato da Trump è una sfida al diritto internazionale

Il trasferimento forzato della gestione di un territorio abitato da 2 milioni di palestinesi solleva interrogativi umanitari e molte critiche

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Donald Trump ha sorpreso il mondo e persino i vertici della sua amministrazione annunciando martedì la sua proposta per far assumere agli Stati Uniti il controllo della Striscia di Gaza. Durante una conferenza stampa a seguito di un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente Trump ha parlato di un piano che prevede che l’America prenda in gestione l’enclave, occupandosi della ricostruzione e della rimozione delle rovine e degli ordigni inesplosi, trasformando la zona in una sorta di “Riviera del Medio Oriente”.

Un’operazione che richiederebbe un ricollocamento, a detta di Trump permanente, della popolazione di Gaza, e che alcuni giornali quali il Guardian hanno puntualmente descritto come un tentativo di pulizia etnica. Tuttavia, secondo quanto riportato dal New York Times, la proposta non era stata discussa anticipatamente con il Dipartimento di Stato o il Pentagono, e non esistevano studi preliminari sulla fattibilità, sui costi o sui numeri di truppe necessari.

Ciononostante, le parole di Trump hanno immediatamente sollevato forti critiche a livello internazionale. I principali alleati arabi, come Giordania ed Egitto, hanno respinto l’idea, dichiarando che non sono disposti ad accogliere, neanche temporaneamente, i profughi palestinesi trasferiti in seguito alla devastazione causata dagli attacchi israeliani.

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Internamente, il segretario di Stato Marco Rubio e la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, hanno cercato di mitigare l’annuncio, sostenendo che il piano non comporterebbe la presenza militare americana, bensì un intervento temporaneo volto a coordinare la rimozione delle macerie e la ricostruzione delle infrastrutture, paragonando, sebbene in maniera alquanto forzata, la situazione a quella di un disastro naturale. Rubio ha sottolineato che l’intenzione sarebbe quella di aiutare il popolo di Gaza a tornare alle proprie case una volta completata la fase di ricostruzione, mentre Leavitt ha cercato di riformulare il discorso per attenuare l’impressione di un controllo a lungo termine del territorio.

Nonostante questi tentativi di attenuare le dichiarazioni, il piano di Trump rimane estremamente controverso. La proposta, infatti, sfida il diritto internazionale, poiché il trasferimento forzato della gestione di un territorio abitato da due milioni di palestinesi non è solo una questione di ricostruzione, ma implica anche la rimozione della popolazione residente, cosa che solleva seri interrogativi umanitari. Inoltre, la proposta si contrappone alle critiche di Trump nei confronti degli interventi esteri passati, risultando in una posizione apparentemente contraddittoria, in cui il presidente, pur criticando le iniziative di nation-building, sembra ora proporsi come il leader di una nuova fase di intervento negli affari del Medio Oriente.

La proposta ha diviso l’opinione pubblica e scatenato un acceso dibattito sul ruolo degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Sebbene alcuni esponenti dell’estrema destra in Israele, Netanyahu primo fra tutti, abbiano accolto con entusiasmo l’idea, molti analisti e diplomatici hanno espresso preoccupazione per le implicazioni legali e umanitarie di una simile mossa. Se attuata, infatti, la proposta violerebbe il diritto internazionale e metterebbe a rischio i diritti di due milioni di palestinesi, costretti a lasciare le loro case in un territorio devastato da anni di conflitti.

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Emanuele Gualandri
Emanuele Gualandri
Laureato in Politica e Diritto internazionale all'Università Statale di Milano. Ha lavorato su Milano come videogiornalista occupandosi di casi di cronaca locale e nazionale nonché politica e movimenti sociali. Ha realizzato analisi sotto forma di video-approfondimenti su YouTube per la pagina di informazione “inBreve”, attirando migliaia di visitatori. Al momento si trova a Bruxelles per conseguire un master in giornalismo e media alla Vub (Vrije Universiteit Brussel).
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