Trecentonovantasei milioni di tonnellate di plastica vengono prodotte su scala globale ogni anno, circa 100 milioni di tonnellate vengono disperse in natura per colpa della cattiva gestione della filiera dalla produzione, al consumo, al riciclo, allo smaltimento. La plastica, una volta rilasciata nell’ambiente, subisce una degradazione che dà origine a particelle micrometriche (millesimi di millimetro) ma anche inferiori, ritrovate in ogni angolo della Terra, dalle profondità degli oceani, alle sommità dei ghiacciai. È questo il problema davvero subdolo e pericoloso di questo materiale; non tanto vederla abbandonata ovunque, ma la sua capacità di frammentarsi in particelle per cause molteplici: agenti atmosferici, azioni meccaniche, raggi ultravioletti e batteri.
Così inquinante che una recente ricerca italiana dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche ha identificato delle microplastiche in 4 placente umane su 6 studiate. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Environment International: è la prima volta che viene provata una cosa del genere.
Attraverso la Raman microspettroscopia, una tecnica di analisi, gli studiosi sono riusciti ad identificare all’interno di 4 campioni di placenta umana raccolti da 6 pazienti consenzienti con gravidanze non problematiche, 12 frammenti di materiale artificiale di forma sferica o irregolare. Particelle molto piccole, tra i 5 e i 10 micron, che una volta analizzate sono risultate essere 3 di polipropilene (il materiale con cui si producono le bottiglie di plastica), e 9 di materiale sintetico verniciato. Cinque particelle sono state trovate nella parte di placenta attaccata al feto, 4 nella parte attaccata all’utero materno e 3 all’interno delle membrane che avvolgono il feto.
Non è stato chiarito come siano arrivate all’interno della placenta, ma visto il largo uso di prodotti che contengono microplastiche (dentifrici, cosmetici, smalti, creme, vernici e tanto altro) è molto probabile che le volontarie siano entrate in contatto con le sostanze inquinanti utilizzando prodotti di uso comune. L’alimentazione con l’apparato gastroenterico e la respirazione con il sistema circolatorio sono le due vie principalmente indagate.
I rischi per la salute dei bambini che già alla nascita hanno dentro di sé delle microplastiche ancora non si conoscono ma è già noto, da altri studi internazionali, che la plastica è in grado di alterare il metabolismo dei grassi. Si ritiene inoltre che la presenza di particelle sintetiche all’interno dell’organismo possa determinare dei cambiamenti nella risposta del corpo e del sistema immunitario.
È sconcertante pensare che la plastica sia stata industrializzata solo dagli anni 30 del secolo scorso e che in meno di un secolo siamo riusciti a renderlo uno dei materiali più inquinanti dell’era moderna.
Dal 1° gennaio 2020 vige il divieto di utilizzare microplastiche nei prodotti cosmetici da risciacquo mentre il 2021 segna la messa al bando della plastica monouso, che dovrebbe ridurre la produzione del 40%. Questo, unito alla crescita della plastica riciclata, al miglioramento della gestione dei rifiuti e all’incremento del riutilizzo, ci fa ben sperare in una reale riduzione di questo materiale fortemente impattante per la natura. Altrettanto importante è sapere che con scelte consapevoli sul nostro modo di alimentarci, vestirci, spostarci possiamo fare una grande differenza: se tutti lo facessimo, potrebbe essere un notevole passo in avanti per un mondo più vivibile.