Un poliziesco che scandaglia l’animo umano: cosa siamo disposti a sacrificare per salvarci o per difendere il nostro ideale di giustizia? Un quesito a cui cerca di dare risposta il libro La misura dell’orizzonte (Golem Edizioni, Collana Le Vespe n. 58) di Ennio Masneri.
Ennio, sei approdato al poliziesco e alla letteratura gialla dopo una raccolta di romanzi brevi noir e, nel 2023, l’opera L’ombra del ciliegio con cui ti sei aggiudicato il primo premio in occasione della VII edizione del Premio internazionale Castrovillari città cultura per la sezione letteratura per bambini e ragazzi. Saltare tra più generi letterari è un’esigenza che avverti spesso per soddisfare la tua vena creativa?
«Bisogna sempre aprirsi a cose nuove e diverse. Non esiste una regola ferrea che governi questi salti ma, anche se esistesse, tutti noi avremmo il diritto e la libertà di infrangerla. Cambiare generi e “contaminarli” fa bene: basta non esagerare. Bisogna dare sfogo alla propria vena creativa in quanto ciò che osserviamo e proviamo non si riduce a una sola strada, ma a più cammini diversi tra loro. Ed è qui il divertimento!».
Hai una laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Perugia. Quanto ti è servita per scrivere libri?
«Diciamo che mi è servita, sia pur marginalmente, per mettere un po’ di ordine alle idee di quel tempo, a maturarle. Ora, a distanza di tanti anni, mi permetto di confessare che non c’è assolutamente bisogno di una laurea per scrivere libri. Tanti scrittori famosi non ne hanno avuto bisogno, perché la loro esperienza di vita vale molto di più. Se si ha cuore e cervello non c’è bisogno di imbrigliarli in qualcosa di standard imposto da atenei e regole di apprendimento. Posso senza dubbio affermare che, anche se non mi fossi laureato, mi sarebbe bastato osservare il mondo, o anche starmene alla finestra e aprire un libro qualsiasi, per avere l’ispirazione. Sono sufficienti poche regole basilari e tanta libertà per farlo».
In queste pagine il commissario Corrado Perri è tornato a vivere e a lavorare sulla costa ionica calabrese, dove è cresciuto. Ha sempre dedicato molto tempo all’osservazione. Tu, sordo oralista dall’età dei due anni, che valore dai alla capacità di guardare in modo analitico ciò che ci circonda?
«Empatia e curiosità sono le mie vere capacità che trasmetto a ciò che ci circonda. Qualsiasi cosa che sfugga all’immagine standard che si ha di una scena, anche se solo vista per un secondo, ha un grande valore quando stuzzica la mia curiosità: alle volte la affronto in maniera analitica, come quando si smonta un giocattolo per vederne il meccanismo interno. Ogni giorno è per me qualcosa di nuovo».
Troviamo qualcosa di te in lui o negli altri personaggi?
«In ciascun personaggio c’è sempre qualcosa di mio, del passato, del presente e del futuro, dando così la possibilità di mostrare i miei più reconditi segreti a chi legge. Ogni romanzo che scrivo e pubblico è una sorta di diario personale: al lettore lascio il compito e la scelta di farseli o meno suoi».
Che ruolo hai dato alla Calabria?
«Mi piace rappresentarla come una novella Andromeda che cerca di liberarsi da certe catene ormai arrugginite e figlie di una mentalità patriarcale ancora imperante, specialmente in piccole realtà collinari e marine dove spesso non ci sono scuole ed entità culturali. È una madre burbera e dolce che non si dà mai per vinta, e reagisce affidandosi alle nuove generazioni che ritornano nel tentativo di cambiare le cose».
In chiusura, ci dai qualche anticipazione sulla prossima indagine di Perri?
«Il prossimo Perri, in uscita a maggio del 2024 al Salone internazionale del libro di Torino sempre con Golem edizioni, verrà intitolato La venere di ghiaccio. Questa volta il nostro commissario affronterà, insieme all’onnipresente Capuano, alla nuova vicecommissaria e con l’aiuto di un ispettore francese, l’annoso problema della prostituzione e della tratta degli esseri umani provenienti dall’Africa. In tale contesto Perri verrà invischiato soprattutto moralmente in una difficile indagine sulla morte di una ex prostituta e conoscerà aspetti antropologici che affondano le loro radici in un substrato di rituali crudeli e superstizioni ataviche dell’Africa stessa».