Cortesemente, sarebbe opportuno e interessante che chi lamenta il taglio dei «bravi e competenti», tra i parlamentari uscenti, dalle candidature alle prossime elezioni politiche dica se per caso ha votato entusiasta per il taglio del numero di deputati e senatori (in Aula o al referendum costituzionale confermativo) e abbia mai in vita sua mosso un dito per la reintroduzione del voto di preferenza.
Eh sì, perché è vero che ormai la politica in Italia ci ha abituato a tutto e al contrario di tutto, approfittando della memoria corta dei cittadini, che seguono l’onda dei tweet dimenticando ciò che è successo il giorno precedente. Ma coerenza e memoria sono sempre doverose. Anche quando si lanciano anatemi via social contro i «paracadutati dall’alto».
Anche perché, con il voto di preferenza ormai sparito senza – a quanto pare – rimpianti neanche da parte degli opinionisti da tastiera, “paracadutati” felicemente a suo tempo lo sono stati anche quelli che oggi sono definiti «bravi e competenti». Sia chiaro: non è in discussione la qualità del lavoro che hanno svolto in parlamento e non sono minimamente in dubbio le competenze di chi, a quanto pare, oggi è stato messo da parte nella scelta delle nuove candidature. Né viene messo in dubbio che le leadership politiche (tutte, nessuna esclusa) stiano operando una selezione delle candidature basata sulla fedeltà e affidabilità e non sul merito e sulla competenza. Ciò che si vuole discutere è la coerenza, la lungimiranza, la visione istituzionale.
Quando in parecchi lamentavamo che la deriva populista aveva colpito talmente in profondità tutti che nessuno ha avuto il coraggio di opporsi al taglio dei parlamentari, la maggior parte ha minimizzato il nostro allarme. Eppure continuando a distruggere il sistema della rappresentanza democratica delineato dalla Costituzione del 1948, con il contributo di tutte le ideologie rappresentate nell’Assemblea Costituente, appariva evidente che si sarebbe minata alla basi la partecipazione democratica nella sua forma più ampia.
Trasformazione in meri comitati elettorali dei partiti dalla loro vecchia funzione di “corpi intermedi” tra cittadini e istituzioni, in grado di formare la nuova classe dirigente e mediare gli interessi collettivi; eliminazione del voto di preferenza alle politiche; fine della preferenza multipla alle amministrative, con la possibilità che c’era di far emergere i meritevoli oltre ai “collezionisti di consensi” e alle “famiglie allargate”; taglio della rappresentanza in consigli comunali e regionali; eliminazione totale dell’elezione diretta dei consiglieri provinciali… Sono questi i passaggi che hanno determinato, nell’indifferenza se non accondiscendenza di gran parte dell’opinione pubblica, la trasformazione della democrazia rappresentativa delineata dai Costituenti in una oligarchia, nelle mani di pochi leader.
Il taglio del numero dei parlamentari, come corollario all’eliminazione del voto di preferenza, ha completato questa transizione dalla democrazia all’oligarchia: meno parlamentari (e meno consiglieri comunali e regionali e nessun consigliere provinciale) vuol dire minori possibilità per gli outsider di emergere, minori possibilità per i giovani di affermarsi, minori possibilità che i «bravi e competenti» uscenti possano essere ricandidati. E incremento esponenziale della possibilità che i leader dei partiti possano decidere autonomamente quali siano quei pochi “affidabili” e “fedeli” da candidare e quindi da far eleggere.
L’onda lunga del sacrificio delle competenze, quindi, continua. Alimentata anche dalla fascinazione, in un’opinione pubblica ormai educata più agli slogan che al pensiero critico, del limite dei mandati a due che qualcuno intende operare. Un limite che, se ha un senso per gli incarichi di vertice (sindaci, presidenti, governatori e quant’altro) è devastante per le competenze di chi fa parte di un organo assembleare, che così non ha il tempo di formarsele a dovere per poter poi averne a sufficienza per ricoprire incarichi di vertice. È quel cursus honorum che la saggezza antica (studiare la storia fa bene e capirla fa ancora meglio) aveva trasferito, nell’Italia appena affacciatasi alla Repubblica, nella formazione delle scuole di partito.
Qualcuno pensava veramente, quando snobbava le nostre forti perplessità sulle reali conseguenze della riduzione del numero dei parlamentari, che quel taglio avrebbe significato «largo ai competenti e fuori i pretoriani dei leader»? Ma davvero?
Allora tutti voi, parlamentari non ricandidati e loro sostenitori, che oggi vi stracciate le vesti per il taglio dei «bravi e competenti» a favore dei «paracadutati», ci dite cortesemente come avete votato, nelle aule parlamentari e al referendum, su quel taglio? E ci dite quando, come e dove avete lavorato per restituire agli elettori il potere di scelta tramite il voto di preferenza? Grazie!