Mia figlia ha 5 anni. Saltella tutto il giorno per casa. Non si tiene, a quell’età, abituata a divertirsi con amichetti e maestre con mille attività la mattina a scuola e il pomeriggio al parco. Degli amici e delle maestre, con cui è in contatto attraverso la chat dei genitori (lo confesso: è l’unica volta che ho benedetto una chat di gruppo di genitori), parla ogni giorno: le mancano moltissimo.
Capita allora che un genitore, preso dalla pena per quell’angioletto in gabbia, le dica: «Amore, oggi c’è il sole. Facciamo una passeggiata? Andiamo nella piazzetta di fronte al parco a giocare per strada». La bimba interrompe i suoi giochi, ti guarda con gli occhietti sgranati e ti dice: «No, no: c’è il coronavirus!».
Cinque anni!
Sono due le cose. O mia figlia è un genio precoce, o chi dice di non aver capito cosa abbia detto il presidente del Consiglio ieri sera e scalpita per il “tana libera tutti” ha un’età emotiva inferiore ai cinque anni.
In verità ho anche il sospetto di una terza opzione. Ovvero che mia figlia, a quell’età, sia libera dai condizionamenti dei social e della propaganda politica e ragiona con la sua testolina. Come ragiona ogni bimbo della sua età: scegliendo ciò che dà maggiore sicurezza.
E ora ditemi pure che noi italiani siamo adulti e liberi di fare quello che vogliamo, mentre in Svezia sono tutti bimbi di cinque anni. Perché in Svezia il governo non ha imposto nulla: ha solo consigliato. Sono gli svedesi che hanno accolto i consigli e sono rimasti di propria volontà in casa. Senza che nessuno pensasse di essere il virologo da tastiera in grado di salvare il mondo. E l’opposizione politica e gli organi di informazione non si sono neanche sognati di entrare in campagna elettorale né di denunciare sdegnati l’inferiorità dei meridionali.
Meglio così: perché rispetto alla Svezia, geograficamente i meridionali siamo noi. Prima o poi, si è sempre i “meridionali” di qualcuno.