Non si è mai sanato il dolore dalle violenze delle truppe marocchine sulle donne e sulla popolazione locale (tristemente ricordate come “marocchinate”) nelle zone della Ciociaria ferite dalle brutalità durante i giorni della risalita delle truppe alleate verso Roma, al termine della Seconda guerra mondiale. Come non si è spento il ricordo delle persone che a quelle violenze si sono opposte, a rischio della propria vita. Come Mariano Di Vito, che ha lasciato l’indelebile ricordo di quei momenti nel suo diario di guerra. E che la comunità dei 1.500 abitanti di Coreno Ausonio, il più meridionale dei comuni della provincia di Frosinone, ha voluto ricordare intitolandogli una piazza del paese.
Nella località Aria Rosina, nel tratto finale di via Cornelia al lato con via Roma, si è svolta una bella manifestazione, molto sentita, per intitolare la piazza a Mariano Di Vito. È stato un maestro, che le circostanze della vita hanno portato ad essere un eroe di grande valore. Proprio di fronte a dove è stata apposta la targa, Mariano viveva con la sua famiglia. E per la cerimonia i suoi familiari si sono tutti riuniti nel ricordo suo e del suo esempio, assieme a tanti concittadini che hanno voluto essere presenti.
La cerimonia, condotta dalla consigliera Rosalba Belmonte, si è aperta con l’Inno d’Italia riecheggiante nella piazza della Pace. Poi è stata scoperta la targa commemorativa da parte del sindaco, Simone Costanzo, e del figlio di Mariano, Erasmo Di Vito, che ha parlato a nome di tutta la famiglia e che ha curato la pubblicazione del diario di guerra del padre, riprendendo gli appunti e le testimonianze di quei tragici giorni di guerra.
A seguire, don Andrea Zdanuk, parroco di Coreno Ausonio, ha benedetto la targa, la piazza e tutti i presenti. Il sindaco Simone Costanzo, intervenendo nel corso della cerimonia, si è dichiarato contento perché «si chiude un cerchio e perché l’esempio e il ricordo del coraggio di Mariano rimarranno per sempre nel cuore dei corenesi, come anelito di giustizia, di pace e di rispetto delle donne, in un mondo che ancora registra casi di femminicidio». Il consigliere Domenico Corte ha poi portato il saluto del suo gruppo consiliare.
Un momento particolarmente toccante è stato quello in cui sono state fatte due letture bellissime e coinvolgenti: una riguardante una testimonianza dei fatti e una che ha ripreso una pagina del libro, in cui si parla del gesto eroico di Mariano Di Vito. Letture che hanno creato emozione e un brivido a tutti i presenti, mentre la voce rotta dall’emotività di Erasmo ringraziava tutti e poneva l’accento sul valore della pace e sul rispetto della vita umana ad ogni livello.
La testimonianza di Elisabetta Adriano (“zia Sabbetta”)
Raccolta da Erasmo Di Vito, figlio di Mariano
«Ricordo benissimo i fatti di Mariano perché li ho visti di persona e me li ha raccontati anche mia madre Petronilla. Quel giorno mi trovavo alle Rinchiusa con i miei e stavo andando a prendere l’acqua con altre ragazze alle Chianare, quando fummo prese dai marocchini che ci portarono in una valle dove c’erano tre pozzi e dove già era stata radunata molta altra gente di Coreno.
I marocchini cominciarono a dare fastidio alle donne, piccole ed adulte; erano grossi e neri. Ce n’erano tre in ogni cespuglio. Facevano paura solo a guardarli.
Tuo padre, forse c’era qualche altro che non conoscevo, andò al Comando francese che si trovava alle Chianare in una casella a muratura per denunciare l’imminente pericolo che stavano correndo le donne del paese. Dopo che tuo padre parlò con loro, il comando francese mandò altri soldati per proteggerci durante la notte.
La mattina seguente ci misero in fila indiana e ci scortarono in paese raccomandandoci di non stare mai da sole. Infatti, ci rifugiammo ai Curti perché era la zona di Coreno in quel momento più affollata e ci rinchiudemmo nelle case.
Ciò nonostante, i soldati marocchini giravano per le strade cercando di entrare nelle case in cerca di donne ed oggetti preziosi, ma fortunatamente non sfondavano le porte, anche perché girava una apposita pattuglia predisposta dal Comando francese e comandata da un sergente che, ricordo bene, non era armato ma aveva una specie di frustino in mano con il quale scacciava i soldati che volevano entrare nelle case.
Ma qualche caso di violenza isolata, a danno di donne che erano state sorprese da sole, purtroppo poi si verificò».
Il diario di Mariano Di Vito
Brani tratti dal libro “La luce del focolare spento”, diario di guerra di Mariano Di Vito
14 maggio 1944
«Tutta la gente del Riccio si raccoglie intorno a queste avanguardie seguite da centinaia di soldati marocchini, algerini e corsi. Tutti hanno un aspetto che incute paura e ripugnanza. Saltano di sasso in sasso come capre inseguite dai lupi e si avventano nelle caselle del Riccio per saccheggiare le misere cose che vi abbiamo. In poche ore seminano il terrore fra le donne che devono trovare nascondigli più sicuri per sfuggire alla loro selvaggia libidine. Qualcuno di questi tenta di infastidire le donne.
Per evitare ciò io, Tito e D’Angelo andiamo al Comando. Presso l’ingresso della tenda è un gruppo di ufficiali, in mezzo a loro è uno molto anziano sulla sessantina; ha un viso roseo e tutti i capelli bianchi. Ad un ufficiale esponiamo le nostre lamentele e il generale ordina subito di mettere alcune sentinelle intorno al gruppo di corenesi.
Appena notte accendiamo dei fuochi per riscaldarci, poi ognuno si sistema alla meglio. Io vado in un pagliaio poco lontano ove sono due, tre ragazze. Qui si sta meglio ma ad una certa ora arrivano tre marocchini. Invitano gli uomini a uscir fuori indicandoci di passare in un angolo ove uno di loro ci punta il fucile nel petto, facendoci cenno di tacere. Gli altri due entrano nel pagliaio e tentano di far violenza alle donne che gridano come ossesse.
Alle grida giunge il sergente corso col quale ho parlato oggi e con quattro calci bene assestati manda via i tre bruti. Poi ci indica dove è lui e ci assicura di intervenire al minimo richiamo. Il resto della notte passa tranquillamente e senza incidenti di sorta».
15 maggio 1944
«Più avanti un grido lacerante rompe l’aria. Dalla cima d’una collina si vede un marocchino scendere a precipizio verso di noi. Appena giunto rovescia il sacco dalla testa di una ragazza di Castelnuovo l’afferra per un braccio e fa per trascinarla. Capisco le intenzioni; mi frappongo fra lui e lei e con uno strattone li separo ma, nello stesso tempo, ricevo da lui un pugno sulla nuca.
Le donne piangono e gli uomini tremano; la situazione è critica. Mi rivolgo al nostro accompagnatore; lo prego, lo scongiuro. Infine, punta la pistola contro il suo connazionale e questi va via brontolando.
È stato un attimo, ma un attimo che avrebbe potuto portare brutte conseguenze, specie per le donne, che seguitano a piangere. Sono circa una trentina, di cui una decina tra i 16 e i 24 anni. Grazie al mio intervento sono tutte salve».