Nel logo della cooperativa “Quadrifoglio”, che spicca in alto all’ingresso della struttura, compare l’amato cane di famiglia: il bovaro del Bernese. Un amore incondizionato, quello che nutre Elvio Chiatellino per questi cani, tanto grossi quanto docili, che lascia liberi di scodinzolare nella sede, situata a Pinerolo, dove veniamo accolti in un’assolata mattina di dicembre. Salendo per le scale troviamo gli amici a quattro zampe anche ritratti in diversi quadri appesi alle pareti delle stanze.
La forte personalità, il carisma e le azioni tese a valorizzare il territorio appaiono sin da subito evidenti in Chiatellino che racconta, come un fiume in piena, la storia della cooperativa sociale: una realtà nata 40 anni fa e che lui, insieme alla moglie, ha visto prendere forma e contribuito a far crescere e sviluppare, seguendo sempre i principi della cooperazione quali solidarietà, inclusione sociale e visione concreta del futuro.
Giuseppe D’Anna, presidente regionale dell’Associazione generale delle cooperative italiane (Agci) del Piemonte, si dichiara orgoglioso di questa cooperativa, aderente all’Associazione, raccontando un aneddoto che delinea ancora di più con quale spirito e passione si muove Chiatellino nella vita oltre che nel lavoro: «Per Agci la “Quadrifoglio” rappresenta un fiore all’occhiello, una risorsa importante per il sistema cooperativistico, essendo l’azienda più grande del Pinerolese e delle valli circostanti. L’impegno e la determinazione del signor Chiatellino, fino a giugno 2021 presidente di Quadrifoglio e a tutt’oggi suo infaticabile sostenitore, sono qualità grazie alle quali l’operare quotidiano della Cooperativa non si ferma mai». Commenta così D’Anna che aggiunge: «Il passaggio del Giro d’Italia e del Tour de France che è partito da Pinerolo, sono dovuti all’amore verso il territorio ed alla sua nota passione per il ciclismo. È grazie a lui che abbiamo visto tanti campioni della bicicletta attraversare il nostro amato territorio».
Signor Chiatellino, come e quando nasce la cooperativa “Quadrifoglio”?
«La “Quadrifoglio” è nata nell’aprile del 1981, quando il Comune di Pinerolo, in provincia di Torino, promosse la costituzione della prima cooperativa sociale. Era l’anno internazionale delle persone disabili. Ricordiamo infatti che nel 1976 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 1981 l’Anno internazionale delle persone disabili, che prevedeva che i Paesi membri definissero un piano d’azione nazionale, regionale ed internazionale, focalizzato sulla parità di opportunità, la riabilitazione e la prevenzione della disabilità».
«La “Quadrifoglio” – continua -, che nel suo scopo originario aveva l’obiettivo specifico di perseguire l’integrazione lavorativa dei disabili mentali lievi, era ciò che oggi si considera una cooperativa sociale di tipo B, che poi negli anni si è specializzata nelle attività dei servizi. Oggi lavoriamo principalmente in quattro ambiti: la disabilità, la psichiatria, gli anziani ed i minori».
«La cooperativa, nell’ottobre dell’82, aveva in cassa 8 milioni di vecchie lire ed era essenzialmente costituita da genitori di ragazzi disabili. Quindi io, a titolo meramente volontaristico in quanto a quel tempo impiegato regionale, e mia moglie, con cui condivido vita e professione, ci siamo ritrovati con questo budget iniziale e un telefono (012178502) che non squillava mai perché dare un impiego ai disabili era molto difficile sia nell’attuazione del lavoro stesso, sia nella formazione e ricerca di commesse. Comunque, non ci siamo affatto scoraggiati e, con grinta e costanza nel raggiungere i nostri obiettivi, siamo riusciti ad ottenere dal Comune di Pinerolo un primo affidamento per la manutenzione delle aree verdi».
«L’assistente sociale, che con alcuni genitori aveva promosso la nascita della Cooperativa, aveva infatti impostato un’attività di legatoria pensando che i disabili mentali potessero trovare in quell’ambito il loro habitat naturale, ma non fu così. Era una visione arcaica e stereotipata di quelli che potevano essere i loro interessi e attitudini e, soprattutto, che io e mia moglie ritenevamo inadatta a favorire un’autentica integrazione lavorativa del disabile, in grado di garantirgli nel tempo anche una realizzazione economica ed una conseguente vita davvero “indipendente”. Così abbiamo preferito cominciare ad occuparci delle aree verdi del Comune di Pinerolo e l’abbiamo fatto per ben 18 anni: dal 1983 al 2000».
«Li ricordo uno per uno i nostri “ragazzi” affetti da disabilità, con la loro voglia di fare e quella diversità che li rendeva unici e speciali: Giuseppe, Nino, Antonello, Ivan, Angelo… Questi i loro nomi».
Di cosa si occupavano esattamente?
«Tagliavano l’erba con la motofalciatrice, stavano 8 ore con il decespugliatore sulla schiena, il che vuol dire una fatica immensa, specialmente nei mesi di luglio e agosto. Io, che durante le mie ferie e nel tempo libero andavo ad aiutarli, conosco bene lo spessore di tutte le erbe: da quella dura di aprile e maggio, col sole e la pioggia, a quella bruciata di luglio ed agosto, a quella più bella e leggera di settembre ed ottobre. Per me era un onore tagliar l’erba coi miei ragazzi. Disabilità non vuol dire inabilità, ma semplicemente adattabilità».
«Preciso che il Comune di Pinerolo ci diede comunque una grande mano, tollerando in alcuni casi anche piccoli errori commessi dai nostri ragazzi ed anzi aumentando nel corso degli anni il lavoro affidato alla Cooperativa. Per me seguire il sentiero dell’integrazione dei disabili era importante: non avevo ancora deciso di lanciarmi in avventure più grandi. Siamo andati avanti un po’ di tempo così, acquisendo altri appalti di aree verdi, pulizie e piccole manutenzioni fino a quando, all’inizio degli anni ’90, la Cooperativa si è trasformata in tipo A, ossia specializzata in servizi alla persona, non solo nell’integrazione per disabili».
«Il primo miliardo di fatturato, circa 500 mila euro di oggi, l’abbiamo raggiunto nel 1989: è stato un traguardo molto propulsivo anche a livello mentale per me, mia moglie e tutti i soci. Nel 1992, convinto che la Cooperativa meritasse un impegno più durevole di quello che avrei potuto continuare a dare rimanendo solo come volontario, mi sono licenziato dalla Regione Piemonte dove lavoravo e ho intrapreso totalmente l’avventura nella “Quadrifoglio”».
Oggi? Qual è la situazione attuale della cooperativa?
«La Cooperativa nell’anno 2020 ha fatturato da sola oltre 102 milioni di euro con 3.300 soci circa, nonostante la crisi provocata dalla pandemia. Lavoriamo in 11 regioni italiane. Negli anni abbiamo collaborato con Enti pubblici, Comuni, Consorzi, Asl ed oggi abbiamo anche strutture nostre, sempre a servizio di coloro considerati più “deboli”, ma che noi consideriamo semplicemente speciali. Prendersi cura e avere attenzione dell’altro sono principi di vita in cui credo, sono valori fondanti della buona e sana cooperazione. Intanto, dall’esperienza di “Quadrifoglio”, abbiamo promosso la nascita sul territorio anche di altre realtà cooperative, così da non far andare dispersa in alcun modo l’esperienza maturata, in particolare nell’ambito dell’integrazione lavorativa dei soggetti fragili».
Cosa vuol dire cooperare per “Quadrifoglio”?
«Vuol dire cercare d’integrarsi l’uno con l’altro per raggiungere gli stessi obiettivi, ascoltare e contemperare le esigenze di chi concorre al raggiungimento degli scopi sociali col proprio lavoro, nel costante rispetto del cliente, sia esso committente o familiare/utente finale del servizio. Sembra un concetto semplice e scontato, ma non per questo facile da realizzare».
Il rapporto di “Quadrifoglio” con Agci?
«Il primo rapporto di Quadrifoglio con Agci è nato con il presidente Scavino, poi si è interrotto col presidente Zaffi. È successivamente ripreso per poi interrompersi nuovamente a fine 2017. Ora “Quadrifoglio” ha voluto ristabilire un nuovo inizio ed un nuovo percorso con l’attuale presidente di Agci Piemonte Giuseppe D’Anna, che ritengo una persona valida, corretta, in grado di far funzionare molto bene la struttura e l’organizzazione dell’Associazione e di cui “Quadrifoglio” può dirsi contenta e soddisfatta».
Quali progetti futuri?
alla condivisione dei principi di eticità e rispetto della persona e dell’ambiente; creare percorsi di sempre maggiore gratificazione motivazionale e professionale della compagine sociale; promuovere a livello culturale una visione dei servizi caratterizzata dal riconoscimento della diversità quale valore aggiunto del proprio operare».
Con la pandemia com’è cambiato il lavoro?
«Sicuramente è cambiato molto e, purtroppo, in peggio. La Cooperativa, un po’ come tutti gli operatori del settore, si è trovata sostanzialmente sola ad affrontare un’emergenza che ha impattato in termini devastanti sui servizi da lei gestiti, generando in tutti i lavoratori stress imprevedibili, connessi ai rischi oggettivi di pregiudizio della salute per sé e per gli altri (utenti, colleghi, familiari) che la pandemia ha provocato. In questo contesto le difficoltà maggiori che si sono venute a creare e che, di fatto, permangono ancora ad oggi, condizionando significativamente le modalità e prospettive di lavoro, sono per lo più riconducibili a:
- Le pesanti difficoltà di reperimento per alcune figure professionali fondamentali alla gestione dei nostri servizi (medici, infermieri, operatori di assistenza), figure carenti a livello nazionale e in molti casi “accaparrate” in forma concorrenziale dall’Ente Pubblico per colmare nell’emergenza le proprie piante organiche;
- Il forte incremento dei costi gestionali connessi alla gestione della pandemia in termini di maggiori esborsi diretti per: l’acquisto di Dpi (dispositivi di protezione individuale), l’implementazione delle equipe di lavoro in ottemperanza alle normative in materia di quarantena ed isolamento, l’aumento esponenziale dell’assenteismo per infortuni e malattie, la lievitazione, spesso anche speculativa, dei costi di approvvigionamento delle forniture:
- L’enorme difficoltà nel ripristinare all’interno delle strutture la copertura a regime dei posti letto rimasti liberi a seguito dei decessi intervenuti;
- La tuttora rilevata diffidenza dell’opinione pubblica verso il mondo delle case di riposo, diffidenza ingenerata anche da una linea di informazione parziale e strumentale cui abbiamo assistito nel corso di questi mesi e che ha fatto spesso delle strutture residenziali per anziani il capro espiatorio di una emergenza in realtà da queste ultime incolpevolmente subita e per lo più gestita al meglio delle loro possibilità».
«Tutto ciò mentre nel campo della sanità le cliniche private hanno invece potuto aumentare il proprio fatturato anche grazie al fatto che le persone necessitanti di cura sono fuggite e fuggono dalla sanità pubblica per rivolgersi a quella privata. È evidente che l’arrivo di un’altra ondata Covid, che si sta già delineando, non sarà facile da gestire per noi e, in generale, per tutti ma, come ci insegna il ciclismo, bisogna lottare, crederci, spingersi oltre i propri limiti se si vuol tagliare il traguardo, se si vuol vincere».