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Sul Congo il mondo ha spento i riflettori e “acceso” i cellulari

Ogni notte il terrore di vedere la morte arrivare nel buio, ogni giorno la lotta per sopravvivere. È l’incubo che vive da anni la popolazione del Nord Kivu, provincia del Congo dove oggi sono stati uccisi l’ambasciatore italiano, un carabiniere e il loro autista. Un incubo sul quale il mondo tiene colpevolmente spenti i riflettori dei media e dell’opinione pubblica. Perché «Occidente e Cina sono più attenti a sfruttare le risorse minerarie della regione per costruire componenti elettroniche piuttosto che alle migliaia di morti delle bande che si contendono il controllo del loro commercio», denuncia padre Eliseo Tacchella, missionario Comboniano.

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Ogni notte il terrore di vedere la morte arrivare nel buio, ogni giorno la lotta per sopravvivere. È l’incubo che vive da anni la popolazione del Nord Kivu, provincia del Congo dove oggi sono stati uccisi l’ambasciatore italiano, un carabiniere e il loro autista. Un incubo sul quale il mondo tiene colpevolmente spenti i riflettori dei media e dell’opinione pubblica. Perché «Occidente e Cina sono più attenti a sfruttare le risorse minerarie della regione per costruire componenti elettroniche piuttosto che alle migliaia di morti delle bande che si contendono il controllo del loro commercio», denuncia padre Eliseo Tacchella, missionario Comboniano.

L’assalto di questa mattina si inquadra nel vasto panorama di scorribande quotidiane e di rapimenti per estorcere riscatti, molti dei quali finiscono con l’uccisione delle vittime. È nel corso di un tentativo di rapimento di personale dell’Onu che sono stati uccisi stamattina l’ambasciatore Luca Attanasio, nato a Saronno (VA) 43 anni fa, di Limbiate (MB), il carabiniere Vittorio Iacovacci, 30 anni, di Sonnino (LT), e l’autista del World Food Programme delle Nazioni Unite che era alla guida di una delle auto del convoglio dell’Onu, il congolese Mustapha Milambo.

Uccisi a colpi di armi da fuoco. E spesso le armi sono quelle che provengono da Paesi dell’Occidente, vendute ai capi locali in cambio di favori e protezione per assicurarsi l’acquisto a basso costo e il libero transito di coltan e cobalto: i minerali di cui è ricca quella provincia e che sono essenziali per costruire gli smartphone che usiamo tutti e componenti elettroniche, anche di missili.

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«È dal 1994 – racconta padre Tacchella, che in quella zona, a Butembo, ha contribuito ad aprire una casa per accogliere giovani che cercano scampo dalla guerra – che si registrano migliaia di morti. Il problema è che il Congo è ricco di risorse minerarie che servono all’Occidente e alla Cina. I Paesi confinanti, Ruanda, Uganda e Burundi, non ne hanno; per questo si contendono il controllo della provincia attraverso i guerriglieri. Le bande gestiscono il lavoro nelle miniere, con condizioni disumane per i lavoratori, e controllano le vie del commercio dei minerali al di fuori di ogni canale ufficiale. L’Unione europea ha approvato norme per tracciare i percorsi dei minerali; ma poi chi controlla?».

Cosa succeda nelle foreste dove ci sono le miniere e nei villaggi dove transitano i minerali non lo sa nessuno. Chi prova a parlarne rischia la vita. Lo aveva fatto padre Vincent Machozi, prete assunzionista di Bunyuka, nel territorio di Beni, nel Nord Kivu. Sul sito www.benilubero.com aveva iniziato a pubblicare un memoriale raccontando giorno per giorno le vicende delle vittime di omicidi e stupri. La domenica delle Palme del 2016 un commando armato di dieci persone ha fatto irruzione nel suo convento, lo ha cercato, lo ha trovato intento, come sempre, a scrivere sul suo computer e l’ha ucciso sotto una pioggia di pallottole. Un omicidio che ancora oggi non la colpevoli per la giustizia locale. C’è chi dice di aver visto i killer partire e tornare da un edificio governativo.

«Ci sono interessi anche da parte di funzionari dello Stato – continua padre Tacchella – che lucrano sul commercio clandestino di minerali». Un commercio bagnato dal sangue di migliaia di uomini, donne e bambini, vittime in questi anni delle bande armate. «Ma nel mondo nessuno dice nulla. I grandi media tacciono su queste stragi quotidiane e sul terrore della popolazione: non c’è interesse ad accendere i riflettori su un commercio che è molto lucroso per le grandi società mondiali, che fanno incetta di metallo per cellulari ed elettronica a prezzi bassissimi».

Legato a questi problemi, c’è anche quello delle migrazioni. Dice padre Tacchella: «Di fronte a questi orrori quotidiani è normale che, chi può, cerchi una vita migliore fuggendo. Se la gente stesse bene nel posto dov’è nata, chi lo abbandonerebbe? In Italia ci lamentiamo spesso dell’immigrazione, ma guardiamo solo gli effetti e mai le cause. Se l’Occidente e la Cina trattassero meglio l’Africa, la gente non fuggirebbe. Ma noi chiudiamo gli occhi e queste cose non le vediamo».

Il vescovo di Butembo, Melchisedech Sikuli, ha rivolto innumerevoli appelli alla comunità internazionale perché intervenga a protezione della popolazione, per far finire la guerra, per evitare che i tentativi di fuggire dall’orrore alimentino le mafie che gestiscono le correnti migratorie e per assicurare la regolarità dello sfruttamento delle risorse e del commercio di minerali. Appelli rimasti tutti inascoltati. Trattare gli omicidi di oggi come un fatto di cronaca senza riflettere e intervenire sulle cause che li hanno determinati, vorrebbe dire continuare a tenere gli occhi chiusi, i riflettori spenti solo per tenere i cellulari accesi.

Torna di stringente attualità un reportage che Maurizio Di Schino, giornalista e inviato di Tv2000, ha realizzato nel 2018 e che gli è valso una menzione speciale del Premio Franco Giustolisi di giornalismo d’inchiesta “Giustizia e Verità”, che qui di seguito riproponiamo, insieme a un altro suo servizio sul Centro Mapendo dei missionari Comboniani per l’accoglienza dei ragazzi di strada.

“Sopravvivere alla notte”, di Maurizio Di Schino (Tv2000)
Nord Kivu, una speranza per i ragazzi di strada: il centro Mapendo dei missionari comboniani (Maurizio Di Schino per Tv2000)

Foto in alto: una delle auto del convoglio dell’Onu in Congo dopo l’attacco di questa mattina

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Massimo Marciano
Massimo Marcianohttp://www.massimomarciano.it
Fondatore e direttore di Metropoli.online. Giornalista professionista, youtuber, opinionista in talk show televisivi, presidente e docente dell'Università Popolare dei Castelli Romani (Ente accreditato per la formazione professionale continua dei giornalisti), eletto più volte negli anni per rappresentare i colleghi in sindacato, Ordine e Istituto di previdenza dei giornalisti. Romano di nascita (nel 1963), ciociaro di origine, residente da sempre nei Castelli Romani, appassionato viaggiatore per città, borghi, colline, laghi, monti e mari d'Italia, attento osservatore del mondo (e, quando tempo e soldi lo permettono, anche turista). La passione per la scrittura è nata con i temi in classe al liceo e non riesce a distrarmi da questo mondo neanche una donna, tranne mia figlia.
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