Va letta con molta attenzione l’ultima intervista rilasciata dallo stratega del Pd Goffredo Bettini. La sostanza della proposta è semplice e ben riassunta nel titolo di Repubblica: «Il Pd è molto interessato al centro e sarà in competizione con Conte». Come si sa il Pd a livello nazionale è alleato di M5s, anche se a livello locale i candidati per le imminenti elezioni amministrative non sono in comune in tutte le città. Alleati e concorrenti ma con un target comune: il centro.
I lettori con più esperienza ricordano di sicuro che per un lungo periodo la conquista del voto del “centro” è stato, e sembra essere ancora, il grido di battaglia di tutti i partiti. Con l’avvento della Seconda Repubblica, messe da parte la destra e la sinistra che avevano caratterizzato il Novecento, tutti gli schieramenti assumono il centro al loro interno e ci troviamo di fronte a centrosinistra e centrodestra. Al massimo la discussione è stata se la parola centro dovesse essere scritta con il trattino prima della fazione politica a cui si riferiva, per rendere il senso di unità nella differenza, ma alla fine tutti lo scrivono attaccato.
Cerchiamo allora di capire cosa s’intende davvero per centro. Sulla Treccani troviamo la seguente definizione: “Nel linguaggio parlamentare, raggruppamento politico di tendenze moderate, costituito sia di uno schieramento di partiti sia di correnti all’interno di uno stesso partito; in particolare i partiti di centro o del centro, raggruppamenti politici di tendenze moderate, che si oppongono sia al rigido conservatorismo sia al riformismo radicale, così denominati dal fatto che nelle adunanze parlamentari i loro rappresentanti siedono al centro, tra la destra e la sinistra”.
Cosa accade quindi nel caso in cui il centro non stia più in piedi da solo? Ce lo spiega stavolta Wikipedia: “Sia la politica di centrosinistra che quella di centrodestra implicano un’associazione generale con il centrismo che si combina con una certa inclinazione ai rispettivi lati dello spettro politico sinistra-destra”. Dobbiamo quindi pensare che il ragionamento per cui le due tendenze politiche attuali si rivolgono al centro per cercare voti è perché ritengono che la maggior parte o buona parte degli elettori sia di centro. Ma se esiste un centro nella vita politica esiste davvero un centro nella vita sociale?
Immaginiamo allora, secondo come l’immaginano i partiti, l’elettore o l’elettrice di centro come una persona con un impiego fisso, macchina, casa di proprietà, figli, che prende le sue informazioni principalmente dalla televisione, poco connesso sui social, ogni anno si ritaglia due settimane di vacanze in estate e una settimana in inverno. Un elettore stabile, che detesta le manifestazioni, tollera le unioni civili, piange i morti in mare e firma la petizione per cacciare gli immigrati dal quartiere, va a vedere qualche mostra d’arte. Coincide con la classe media in economia, un reddito annuo intorno ai 30 mila euro.
Questo gruppo sociale così ambito dai politici si sta però squagliando dopo le due grandi recessioni e la pandemia da covid. Secondo i dati Eurostat nel 1980 il 10% più ricco della popolazione italiana deteneva il 23% del reddito totale, mentre nel 50% più povero era concentrato il 30% di quello stesso reddito. Nel 2016 la quota di ricchezza del 10% più ricco è arrivata a quasi il 30% del reddito totale, mentre il 50% più povero ne deteneva il 24%. A tutto ciò dobbiamo aggiungere la proletarizzazione di liberi professionisti, commercianti, artigiani e più in generale di partite Iva anche in seguito alla pandemia. L’erosione costante del reddito e la paura d’impoverimento hanno reso il ceto medio più povero e politicamente più instabile nelle sue scelte elettorali.
In sostanza il ceto medio, il centro della politica, è diventato come lo 0, zero, in matematica: un punto convenzionale di valore di una società in movimento. Se prima era un soggetto ben definito come gruppo sociale, oggi è quasi inafferrabile perché in continua definizione: chi vi apparteneva, facilmente ne esce a causa della crisi e chi vorrebbe appartenervi fa il triplo della fatica di due decenni fa per entrarvi. Quindi quello che dovrebbe essere il riferimento per la politica in realtà esiste solo nei grafici degli economisti e per pochi momenti.
Sono anni che la politica italiana è condizionata da questa ricerca del centro, dall’affannosa rincorsa al consenso di un ceto virtuale. Tutta la nostra vita politica è stata condizionata dal tentativo di soddisfare “il centro”, con conseguenze non brillanti, scontentando tutti.
Leggendo quindi che lo stratega del Partito Democratico, partito che anche se indirettamente eredita una tradizione che viene dal Pci, dal partito dei lavoratori, ritiene di dover tornare sul luogo del delitto, la ricerca del centro, non pago dei danni che questa impostazione ha prodotto proprio negli eredi della sinistra, incapace ormai di aver cura dei ceti più deboli della popolazione, spesso provenienti proprio dal ceto medio, si comprende che la politica italiana, almeno per l’immediato, non è destinata a offrirci soluzioni credibili per uscire dalla crisi economica in cui ci troviamo.