Il sorriso e l’entusiasmo dello chef Juan Carlos Rojas contagiano i collaboratori che lavorano con lui e i clienti che da anni gustano, apprezzano i suoi piatti a “La Dinastia”. Situata a Bolzano, è una società cooperativa aderente ad Agci (Associazione generale cooperative italiane) Alto Adige Südtirol ed è un bar/ristorante/pizzeria a conduzione familiare, che nasce il primo dicembre del 2015.
La storia di Juan Carlos parte da lontano, come il viaggio dalla sua terra d’origine, la Colombia, che ricorda con affetto e comprensibile nostalgia anche se dice: «Il Trentino Alto Adige, in particolare Bolzano, città in cui lavoro, e Laives, paese in cui vivo, mi hanno accolto molto bene». Sono queste le parole dello chef che ha realizzato il sogno di diventare un imprenditore nel settore della ristorazione proprio qui in Italia.
Approfondiamo meglio la sua storia, il suo percorso con lui.
Come e quando nasce “La Dinastia”?
«Quest’anno la cooperativa compie esattamente sei anni di vita. Ho scelto questa forma di impresa perché offre vantaggi sia a livello sociale sia fiscale. Vi è, inoltre, l’opportunità di creare occupazione soprattutto per le persone svantaggiate che hanno difficoltà d’inserimento nel mondo del lavoro».
Come mai questo nome?
«Perché gestisco il ristorante insieme alla mia famiglia a cui vorrei tramandare il valore e l’amore per questo lavoro».
Di cosa vi occupate esattamente?
«Abbiamo un piccolo ma efficiente albergo, oltre che un bar/ristorante/pizzeria in cui siamo specializzati nella cucina italiana, senza trascurare quella colombiana, perché è importante rendere omaggio alla mia terra d’origine, diffondere la mia cultura ai clienti attraverso sapori e percorsi enogastronomici».
Lei è il presidente?
«No, lo è mia figlia che ha 27 anni e si chiama Natalia».
Quanti soci, quanti dipendenti?
«Siamo tre soci: io, mia figlia, mia moglie e tredici dipendenti».
Come mai si è trasferito a Bolzano?
«Quando Natalia era piccola ho deciso di trasferirmi in questa città perché ho seguito l’esempio di mia sorella che l’ha fatto molto tempo fa e si è trovata bene».
È contento di questa scelta?
«Si, molto, anche se ho un po’ di nostalgia per la famiglia che è rimasta in Colombia, ma sono 22 anni che vivo in Italia, Paese che considero la mia casa».
Come si svolge una giornata tipo?
«Siamo operativi sin dal mattino, come tutti coloro che gestiscono un ristorante, tra incontri con i fornitori, spesa da fare, organizzazione dei servizi e le preparazioni di piatti previsti nel menù. Lavorare in famiglia non è facile ma ognuno di noi ha i propri compiti distinti e necessari per essere efficienti, produttivi».
Com’è stato il lavoro durante la pandemia?
«Il nostro è stato indubbiamente uno dei settori più colpiti dalla crisi pandemica in assoluto. Ma non bisogna arrendersi. Stiamo cercando di rialzarci con forza di volontà, determinazione e passione che ci contraddistinguono».
Progetti per il futuro?
«Mi piacerebbe costruire una sala esterna. Il nostro obiettivo è la crescita: con essa creare più occupazione, sempre in nome della sana e buona cooperazione».
Cosa vuol dire cooperazione e il suo rapporto con Agci?
«L’Agci è il nostro punto di riferimento, un luogo d’incontro e di confronto. Quando qualcosa non va mi rivolgo all’Associazione territoriale dove trovo ascolto, disponibilità nel cercare soluzioni valide e concrete ai problemi. La cooperazione non è forse questo? Lavorare insieme, collaborando e sostenendoci come in una grande squadra in cui ognuno ha un proprio ruolo ma tutti giocano per raggiungere lo stesso obiettivo: la vittoria».