Barberini, nome d’arte di Barbara Bigi, è una giovane artista romana affacciatasi di recente alla ribalta, in un mondo in cui spesso le belle novità faticano ad amergere. Suona, canta, scatta fotografie che rispecchiano il mood delle sue canzoni: intime, minimali e dal sapore un po’ retrò. Un’artista che si caratterizza per i testi delle sue canzoni, che appaiono poesie recitate in musica.
Il tuo nome d’arte è Barberini, ma da dove deriva? Come mai questa scelta?
«Qualche anno fa, quando stava per uscire il mio primo disco, avevo buttato giù tutta una serie di nomi strani a partire dal mio nome, “Barbara”, e in mezzo c’era anche questo “Barberini”; era nato un po’ per scherzo ma pian piano iniziava a risuonarmi, anche perché il “Barberini” è un cinema di Roma dove andavo da piccola, quindi mi sembrava legato sia a me, che alla mia città, che al mio passato. E così alla fine l’ho scelto»
Raccontaci il tuo percorso artistico.
«Ho cominciato a cantare e suonare piuttosto tardi, a 24 anni, perché mi era venuta voglia di provare a scrivere delle canzoni mie. Da piccola avevo suonato il pianoforte a scuola per qualche anno, ma non ricordavo quasi nulla e ho ricominciato a prendere lezioni praticamente da zero. A quei tempi lavoravo tantissimo e potevo scrivere e registrare i provini solo di notte; quindi ho iniziato a cantare sussurrando per non disturbare i vicini; poi però mi sono abituata a risentire i pezzi in quel modo e li ho cantati così anche quando li ho registrati in studio».
«Nel 2018 è uscito il mio primo album: Barberini. Nel 2020 ho finito di scrivere il nuovo disco, ma poi c’è stata la pandemia ed è rimasto tutto fermo per due anni. In compenso abbiamo avuto più tempo per lavorare alla produzione, a cui Marco Catani (che ha curato arrangiamento, produzione e mix) si è dedicato tantissimo, come fossero canzoni sue. E io ho avuto tempo per rimettere mano ad alcuni dei brani che, ripensandoci adesso, erano incompleti».
Da poco è stato pubblicato il tuo nuovo singolo. Come nasce questo brano?
«Pirati è il primo pezzo del nuovo album che ho iniziato a scrivere e l’ultimo che ho finito; è una di quelle canzoni che hai nel cassetto da anni, e ogni tanto le ritiri fuori e provi a finirle, ma non ti riesce. Anche se sentivo che non era completa, l’ho messa nella tracklist dei provini che ho mandato a Marco per la produzione e abbiamo iniziato a lavorarci. Però mancava il ritornello, che non è proprio un dettaglio».
«Questa cosa dei ritornelli mi perseguita, perché mi è sempre piaciuto di più scrivere le strofe, forse perché mi mettono meno ansia da prestazione. In ogni caso, alla fine, quando c’era già un’idea chiara di sound e di produzione, sentendola arrangiata e anche grazie ai consigli di Marco, ho trovato il ritornello e il pezzo ha trovato la sua strada».
Chi ha collaborato al videoclip?
«Sembra un po’ triste da dire, ma nessuno! Pubblicando tutto da sola (senza etichetta), ho dei budget molto limitati e in questo momento non potevo pagare qualcuno per il videoclip, quindi me lo sono girato da sola usando i ritagli di riviste che avevo in casa e animandole in stop motion».
Quali sono state le influenze musicali nell’elaborazione di questo progetto?
«Spero che mi abbiano influenzato i miei gruppi preferiti, come i Beach House e gli Sparklehorse. Degli Sparklehorse nel disco c’è anche una mia versione di Gold Days, liberamente tradotta in italiano. È la title-track del disco: Giorni d’oro».