Il mondo della moda è una delle industrie più inquinanti al mondo. Il modo in cui compriamo, la scelta dei capi e soprattutto la loro fine quando non si usano più hanno un impatto devastante sul pianeta: questo è un tema fondamentale per il nostro futuro. I motivi principali sono da ritrovarsi nell’enorme quantità di indumenti prodotti e nella velocità eccezionale con la quale vengono distribuiti e utilizzati: negli ultimi cinquant’anni l’acquisto di vestiti è triplicato.
Tutto questo a causa del modello economico della “moda veloce“ che si traduce in abbigliamento a prezzi ridotti e dalla scarsa qualità, prodotti usando strumenti e agenti inquinanti da lavoratori, in molti casi, sfruttati. Capi che finiscono in discarica velocemente e senza essere riciclati: un effetto enorme sull’inquinamento.
La filiera dell’industria dell’abbigliamento è lunga e complessa. Ogni passaggio dalla fibra, al filo, alla produzione tessile, alla colorazione, alla cucitura del tessuto fino allo stoccaggio in magazzino può avvenire in un Paese diverso dall’altro e il percorso è disseminato di sprechi e scarti: acqua, prodotti chimici, anidride carbonica, plastica e combustibili fossili.
I danni ecologici collegati all’industria della moda sono molteplici.
Si va dall’impatto sui cambiamenti climatici, su cui incide per il 10% delle emissioni totali di anidride carbonica, allo sfruttamento ed inquinamento delle risorse idriche con l’utilizzo del 20% globale di acqua e lo smaltimento di tutte le sostanze tossiche con cui vengono trattati i capi di abbigliamento. Dall’inquinamento da pesticidi e insetticidi legati alla coltivazione del cotone, un quarto di quelli prodotti in tutto il mondo, allo sfruttamento del suolo e alla perdita di biodiversità. Dalla diminuzione delle risorse naturali da cui dipende completamente, ai ritmi di produzione che compromettono il benessere di lavoratori, comunità, animali e ambiente.
Il maggior impatto ambientale, consumo di energia ed emissioni, avviene durante il processo di estrazione delle fibre sintetiche, composte principalmente da prodotti petrolchimici: oltre il 60% della produzione tessile globale è costituita da fibre sintetiche. Materiali sintetici come il poliestere, il rayon, il nylon e l’acrilico sono essenzialmente tipi di plastica, derivati del petrolio, virtualmente impossibili da smaltire e per questo spesso inceneriti: l’85% dei vestiti finisce in discarica e solo l’11% viene riciclato o rigenerato. Il 35% delle microplastiche primarie presente negli oceani è ricollegabile all’industria della moda, la maggior parte proviene dai lavaggi dei capi di vestiario in materiale sintetico come acrilico e poliestere.
È questo un quadro chiaro e drammatico dell’impatto ambientale della moda, la seconda più inquinante al mondo. È necessario un lavoro di informazione che raggiunga il maggior numero di persone. Un segnale positivo è l’aumento di consapevolezza sempre più visibile, la nascita di realtà che si impegnano nel creare prodotti ecosostenibili: l’industria della moda sta giocando un ruolo determinante nella distruzione del pianeta.
La differenza la fanno i piccoli gesti quotidiani di ognuno di noi: iniziamo a comprare meno, facciamo attenzione alle etichette, cerchiamo capi di qualità, buttiamo meno e proviamo a dar nuova vita a capi che consideriamo vecchi: le nostre azioni possono servire da esempio a qualcun altro e così via.
Promuovere un cambiamento nello stile di vita e nei modelli di consumo e produzione, per una moda più etica, trasparente e sostenibile, informando sugli impatti della moda veloce, educando e sensibilizzando sulle conseguenze delle proprie abitudini di acquisto e su quali pratiche alternative possono essere adottate.
Il progetto base di One World è la costituzione di una vera e propria comunità di attivisti, nato dalla convinzione che per promuovere un reale cambiamento sia essenziale fare rete tra tutti coloro che sentono il desiderio e il bisogno di agire, senza timore che le sfide da fronteggiare siano troppo grandi per essere affrontate.
One World vuol essere una risposta a questo senso di inerzia, unendo le voci e le forze di tanti e partendo dal presupposto che ogni azione è in grado di contribuire al cambiamento: ognuno può fare la propria parte piccola o grande che sia.
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