Domenica 21 gennaio, posticipando di quattro giorni la ricorrenza di Sant’Antonio Abate, anche nella Valle del Tevere, nell’hinterland romano, si rinnova l’appuntamento con le celebrazioni in onore del Santo, protettore degli animali, da sempre associate alle benedizioni degli animali e all’accensione di un falò nelle vie e piazza dei vari comuni. Nella tradizione popolare, infatti, l’accensione del fuoco di Sant’Antonio rappresenta il momento in cui il mondo agricolo attende il risveglio della natura.
Il falò è incoraggiamento alla luce del giorno ad avanzare dopo il solstizio d’inverno. Inoltre, Sant’Antonio è conosciuto come guaritore di una malattia cutanea (“fuoco di Sant’Antonio”) che in passato veniva curata con il grasso del maiale. Ecco perché spesso questo animale è raffigurato col santo. Insieme al fuoco, un’altra usanza è quella della benedizione degli animali.
Sant’Antonio Abate, nato in Egitto intorno al 250 e morto nella Tebaide il 17 gennaio del 357, fu un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico. Fin da epoca medievale, Sant’Antonio viene invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori ed è considerato anche il protettore degli animali domestici. Secondo la tradizione, Antonio era anche un taumaturgo capace di guarire le malattie più tremende. L’effigie del Santo è infatti spesso collocata sulla porta delle stalle.
La festa in suo onore è molto partecipata anche nei comuni dell’area Flaminia/Tiberina. Questa particolare festa desidera ricordare come gli animali non sono degli oggetti che possano essere presi o abbandonati a nostro capriccio, ma al contrario essi vanno difesi e protetti, ricordandoci che Dio li ha donati all’uomo come aiuto e compagni di viaggio. Inoltre gli animali sono sempre più importanti nella vita di tante persone, come aiuto a bambini con difficoltà e di compagnia per gli anziani.