Riunito a Torino, il Senato del Regno, 160 anni fa, approva la legge che conferisce a Vittorio Emanuele II di Savoia il titolo di Re d’Italia. Il disegno di legge era stato presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Camillo Benso di Cavour, solo cinque giorni prima ed era composto di un solo articolo: «Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia». Il Senato, dopo una discussione molto rapida, aggiunge un secondo articolo nel quale si stabilisce solamente che gli atti del governo e qualunque altro che dovesse essere intitolato in nome del Re, dopo la sua firma dovrà portare questa dicitura: «Per Provvidenza divina, per voto della Nazione Re d’Italia».
Il nuovo regno che quel 26 febbraio 1861 ha il suo primo Re, conta 21 milioni di abitanti. Anche se ancora non si è completato il processo di unificazione nazionale, perché mancano i territori dello Stato della Chiesa, con la città di Roma, e quelli di Venezia e Trieste, si compie il percorso delineato con le guerre di indipendenza.
La situazione non è florida: le casse dello Stato sono state dissanguate dalle spese per le guerre, gran parte della classe contadina vive sulla soglia di povertà, l’industrializzazione è molto arretrata, specialmente nelle regioni meridionali, dove oltretutto ogni spinta alla crescita è ostacolata da una rete ferroviaria che in totale assomma solo 100 chilometri di linee ferrate. Il 90% della popolazione, poi, è analfabeta.
L’avvio di una politica industriale è il primo compito di fronte al quale si trova il nuovo regno. Per fare questo si rende necessario, fra le altre cose, unificare il Paese sotto il profilo legislativo. Per raggiungere questo obiettivo, viene di fatto estesa al resto del territorio la legislazione dell’ex Regno di Sardegna, artefice dell’unità d’Italia. Il simbolo di questa continuità è dato dalla scelta di utilizzare per il Re Vittorio Emanuele il numerale II, seguendo l’ordine di successione del vecchio Regno, e non I, in quanto primo Re del nuovo Regno d’Italia.
Un percorso che viene vissuto da molti al sud come un’annessione e non come la costruzione di una nuova comunità nazionale, determinando la nascita di quella situazione che, nel 1873, il deputato lombardo della sinistra radicale Antonio Billia sintetizza, con un’espressione entrata nel linguaggio comune fino ai giorni nostri, come “questione meridionale”.
Foto: Camillo Benso di Cavour e Vittorio Emanuele II (immagine di pubblico dominio)