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Cinque motivi e una proposta per superare la retorica del “presidente non eletto”

Per la Costituzione è il Capo dello Stato a nominare il premier. I partiti decidano un accordo sul programma se credono in quello di Draghi

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Leggo in giro da più parti, riferito a Mario Draghi: «Se gli italiani lo vogliono… se lo eleggano». Fermo restando che poi starà sempre al presidente della Repubblica designare il presidente del Consiglio a seguito delle consultazioni parlamentari, a questo punto l’idea di una coalizione di centro/centrosinistra per realizzare le riforme indicate da Draghi mi sembra, dal mio personale punto di vista, una buona cosa, una cosa ancora migliore se a guidarla fosse Draghi in prima persona.

In proposito però, visto che dubito che lui accetti di candidarsi premier (e su questo non saprei dargli torto), mi chiedo se in caso di sua futura designazione sarebbe sufficiente, per mettere a tacere la solita critica del “presidente non eletto”, il fatto che il programma della coalizione qui ipotizzata avesse come oggetto il completamento della realizzazione di quanto a suo tempo indicato da Draghi stesso.

Dice: ma perché tutto questo marchingegno? Che senso ha questa domanda? Presto detto:

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1) secondo me Draghi non è un politico e meno che mai un politico di mestiere;
2) non lo si può trasformare in politico in soli due mesi e non converrebbe a nessuno ripetere l’esperienza Monti con la nascita di Scelta Civica;
3) non converrebbe ai partiti, in quanto equivarrebbe a nascondere dietro un dito la loro attuale incapacità di esprimere al loro interno una personalità con le competenze e l’autorevolezza che viene riconosciuta dall’estero a Mario Draghi;
4) per lo stesso motivo indicato qui sopra la trasformazione di Draghi in un politico non converrebbe neanche all’Italia;
5) non converrebbe infine neanche al Draghi eventuale presidente del Consiglio, la cui carica a quel punto apparirebbe come il coronamento di una sua aspirazione personale anziché un servizio reso al Paese (come peraltro dovrebbe essere in un Paese civile e veramente democratico in cui l’impegno politico non fosse considerato un mestiere a vita: perfino i grillini nel loro passato remoto avevano previsto il vincolo di massimo due mandati).

In conclusione, secondo me non deve essere Draghi a chiedere agli italiani di essere “eletto”; sta alle forze politiche mettere insieme una coalizione non ideologica né puramente numerica ma basata sulla individuazione di un denominatore comune tra le varie cose urgenti da fare e tenuta insieme dalla consapevolezza dell’urgenza di queste cose anziché dai tatticismi legati alla ricerca di potere e poltrone.

Se le forze politiche sapranno mettere insieme una coalizione con tale programma, senza nomi sui simboli, e anche senza vuoti slogan ma insistendo sulle cose concrete, e saranno capaci di farsi capire dagli elettori, compreso quel 40% che ormai non vota più da anni, allora a guidare l’attuazione di quel programma potrà nuovamente essere chiamato non l’onorevole Draghi o il senatore Draghi ma il dottor Mario Draghi.

Basterebbe tutto ciò a normalizzare la situazione e tranquillizzare chi preoccupato per la democrazia teme i cosiddetti “presidenti non eletti”? Secondo me sì.

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Achille Nobiloni
Achille Nobiloni
Nato a Frascati (Roma) nel 1952. Giornalista pubblicista. Dieci anni corrispondente del Messaggero dalla provincia; quindici anni redattore dell'agenzia Staffetta Quotidiana Petrolifera, venti anni dirigente d'azienda in Agip Petroli e in Eni nella direzione Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali. Attualmente in pensione, appassionato di storia locale e arte.
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