Un viaggio nel tempo, ma soprattutto nello spazio delle emozioni, quelle vissute domenica sera, 17 luglio, all’Auditorium romano del Parco della Musica con i Simple Minds in concerto, per incorniciare a caratteri cubitali i loro 40 anni di musica e successi con il 40 Years of Hits Tour. La platea gremita di ragazzi e le ragazze degli anni ’80 uniti col solo desiderio di ricavalcare l’onda musicale di quel rock pop, post punk, intriso di architettura elettronica e dal retrogusto new wave che solo la band britannica sa creare.
La scenografia è inconfondibile, pulsa di rarefatta dorata luminosità su sfondo nero, il cuore sormontato da una corona e sorretto da due mani, il Claddagh Ring simbolo irlandese tatuato dai Simple Minds sulle cover dei loro album anni ’80 e ’90 e biglietto da visita inequivocabile della storica band.
Jim Kerr, Charlie Burchill, Mike McNeil: il trio inossidabile supportato dalla vocalist statunitense Robin Clark, dalla tastierista e accattivante vocalist Berenice Scott e dalla batterista prorompente e impetuosa Cherisse Osei, entrano in scena nella cavea romana alle 21.30, con mezz’ora di ritardo rispetto al programma, incitati dai fischi all’americana del pubblico ormai impaziente.
Act of Love è il pezzo introduttivo prima dell’apoteosi con Love Song, dove Jim Kerr scende in platea cercando il contatto fisico col pubblico che, ormai irrefrenabile, accetta l’invito del frontman a riversarsi ai piedi del palco, in un abbraccio comunitario e condiviso attorno alla band del cuore. L’atmosfera è calda e con Mandela Day, duettata da Jim Kerr con le magnifiche note acute e graffianti della voce di Robin Clark, le emozioni arrivano forti fino all’incalzare di Belfast Child.
Ma il ricordo del 1985 del Live Aid arriva intenso, puntuale e diventa palpabile quando l’attempato Jim Kerr, con le sue ancor giovanili movenze mimiche, le flemmatiche flessioni e la riconoscibile impugnatura al contrario del microfono verso l’alto, intona «Hey hey hey hey, ooh, woahh…», introduzione dell’indimenticabile Don’t you – Forget about me.
L’album che ha segnato l’apice del successo dei Simple Minds nel 1982 regna nella serata romana con i leggendari brani New Gold Dream, Glittering Prize e Someone Somewhere in Summertime in un coro copioso e liberatorio fuso tra il pubblico e la mitica band.
Jim esibisce con naturalezza, durante tutta l’intera performance, il suo italiano imperfetto e passionale, salutando, lanciando dei «Ti amo», fino a giocare a tenere col fiato sospeso nell’interminabile e infinito finale di Alive and Kicking.
Si dirotta sull’ennesimo bis con Sanctify Yourself che proclama il finale del concerto mondiale suggellato dall’inaspettato regalo di Charlie Burchill ad una manciata di fans al suo fianco destro, nella platea laterale, con i plettri delle sue innumerevoli chitarre, alternate durante la performance romana, marchiati con l’anello di Claddagh e la scritta del cuore “Simple Minds”.