Da circa una settimana, una massa di petrolio ha iniziato a espandersi, incentivata dalle mareggiate in corso e dal forte vento, sulla costa mediterranea di Israele, interessando oltre 170 km di litorale. Si pensa che il disastro ecologico possa essere stato provocato da una fuoriuscita di petrolio prodotta durante una tempesta l’11 febbraio da una petroliera a circa 50 km dalla costa: saranno necessari mesi per ripulire completamente la costa e anni per riportare l’ambiente naturale alle condizioni originarie. Volontari ed esercito sono costantemente al lavoro per contenere i danni e proteggere l’ecosistema dalle inevitabili ripercussioni: diverse tartarughe, ma anche una balenottera, sono state rinvenute morte e altri animali, pesci e uccelli marini, sono stati fotografati ricoperti di petrolio.
Ma questo è solo l’ultimo di una lunga serie di disastri petroliferi: la storia e i mari di tutto il mondo, ne hanno conosciuto le terribili conseguenze. Chi ricorda cosa è accaduto lo scorso anno alle Mauritius? Le petroliere sono enormi navi cisterna adibite al trasporto di greggio o di prodotti derivati e insieme agli oleodotti, sono l’unico modo per trasportare grandi quantità di idrocarburi dai luoghi di estrazione a quelli di raffinazione. Ma cosa accade quando grandi quantità di greggio finiscono in mare?
Il greggio ha un peso specifico minore dell’acqua, forma una pellicola superficiale impermeabile all’ossigeno che, nella fase iniziale, causa danni fisici e tossici alla fauna visibile (macrofauna) e, per mancanza di ossigeno, soffoca ogni forma di vita planctonica. Successivamente, avviene la precipitazione verso il fondale che ripete l’effetto sugli organismi bentonici (quelli che vivono a contatto con il fondo). Gli uccelli e i mammiferi marini, imbrattati di petrolio, diventano inadatti al volo e al nuoto e il loro istinto, nel tentativo di ripulirsi, li porta a ingerirne grandi quantità con effetti a volte anche letali.
Inoltre, il greggio che si riversa sulle coste devasta interi ecosistemi sensibili e delicati, spiagge e aree salmastre e provoca ingenti danni a svariate attività economiche che si sviluppano lungo i litorali: turismo, commercio, pesca, acquacoltura. Per arginare le chiazze di petrolio disperse, si ricorre a una tecnica che adopera barriere galleggianti o si impiegano speciali imbarcazioni in grado di aspirare lo strato in superficie. Ma, in realtà, in entrambi i casi non si riesce a raccogliere più del 10% di tutto quello che finisce in mare.
Poche sostanze hanno la stessa importanza del petrolio nella storia evolutiva dell’uomo: lo sviluppo delle nostre società dipende, ancor oggi, dal cosiddetto “oro nero”, a tal punto da far passare in secondo piano qualunque rischio connesso alla sua ricerca, trasporto e utilizzo. Questo accade perché, purtroppo, esso non significa solo carburante ed energia, ma trova applicazione in tanti campi, dal farmaceutico fino all’agricolo.
Ma giunti a questo punto, con tutti gli allarmi che la comunità scientifica “urla” da anni, il mondo intero è di fronte a un bivio: da un lato continuare a incrementare un sistema di produzione energetica insostenibile dal punto di vista ambientale, sociale, climatico ed economico; dall’altro, avviare con tutte le forze un profondo cambiamento verso un nuovo modo di produrre energia e di vivere le nostre vite, che sia pulito, ecologico, rinnovabile, consapevole.