Nel camposanto di Sciacca, nell’amata Sicilia, la sua è una tomba anonima, nella propria modestia: un semplice sepolcro in pietra in un angolo nascosto. Si trova accanto al “cimitero dei poveri”, il terreno dove riposano degnamente coloro che non sono stati, in vita, qualche personaggio «blasonato» come quello preso di mira da Totò nella sua poesia ‘A livella. Era stato lui stesso a esprimere la volontà di essere sepolto, un giorno, accanto a loro, quelli per cui ebbe modo di dire: «Lavoro tanto perché i soldi mi servono per darli a chi ha bisogno».
Parole di Accursio Miraglia, sindacalista e, a Sciacca, segretario della prima Camera del lavoro siciliana della Cgil e presidente dell’ospedale cittadino. Il 4 gennaio 1947, quella voce scomoda la mafia la vuole far tacere, perché Miraglia si prodiga per affrancare i contadini dalle pretese di Cosa Nostra. Quella sera di 75 anni fa, i sicari lo colpiscono a morte a colpi di pistola sull’uscio di casa, a 51 anni. Ma la sua voce, la mafia non è riuscita mai a farla tacere. E oggi, nel 75º anniversario della sua uccisione, se ne è fatto portavoce anche David Sassoli. Il giorno della sua morte è «un giorno remoto, lontano. Eppure a Sciacca ancora oggi, quando fai il suo nome, i vecchi contadini piangono per lui». Così ha scritto il presidente del Parlamento europeo sulla sua pagina Facebook.
Su iniziativa di Miraglia, viene costituita e avviata la cooperativa “La Madre Terra”, realizzando una delle prime forme di unione e solidarietà tra lavoratori. Sempre opera sua è la storica “cavalcata” che vede sfilare pacificamente per le vie della città circa diecimila manifestanti per chiedere l’attuazione della legge, contrastata dai latifondisti, che concede la terra incolta alle cooperative agricole.
«Mette su un’industria di pesce salato – ricorda Sassoli -. Poi una rappresentanza di ferro e metalli, una gioielleria, è amministratore del teatro cittadino e infine presidente dell’ospedale. Ogni sera, si occupa di insegnare a leggere e scrivere ai braccianti, agli analfabeti. Distribuisce gran parte dei guadagni agli orfani e ai poveri. Cattolico tenacemente impegnato nel sociale, comunista, dapprima imprenditore e poi artefice della prima Camera del Lavoro, crede in una Sicilia onesta e solidale, dalla parte di chi ha bisogno. Nel mirino della mafia e di interessi occulti, sa di rischiare la vita. Alla moglie, preoccupata, risponde: “Lo so che ho figli, ma devo pensare anche a tante altre persone che hanno bisogno di me”. Dice, anche: “Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio”».
Anche questa frase risuona ancora ovunque, simbolo di chi non vuole permettere che la libertà e la dignità degli individui possano essere calpestate dalle minacce mafiose. Come vivono ancora le parole e le azioni di Accursio nella “Fondazione Miraglia”, curata dal figlio Nicolò per perpetuarne la memoria e continuarne le battaglie. E per ricordare tutte le vittime della mafia e il loro sacrificio, portare avanti la loro azione, promuovere attività antimafia soprattutto nelle scuole e tra i giovani.
«Il giorno dei funerali – ricorda Nicolò Miraglia – il cielo era grigio, ma non pioveva. Accursio non ebbe i funerali religiosi perché alcuni preti si rifiutarono, in quanto comunista». Cattolico, ma anche comunista. Una circostanza che da sola bastò a negargli le esequie religiose. Un rifiuto su cui, negli anni successivi, la Chiesa ha manifestato qualche imbarazzo postumo.
Come estremo omaggio, i dipendenti dell’ospedale di cui era stato presidente si presero cura della conservazione della salma, che potè rimanere intatta per alcuni giorni e sfilare per le vie di Sciacca nel feretro rimasto aperto. «Dietro la bara di Accursio – ha scritto oggi il figlio Nicolò nel suo personale ricordo di quei giorni – c’era uno in carrozzina che volle seguire la bara per tutto il suo lungo tragitto. Dinanzi alla porta del cimitero il corteo si fermò. Immediatamente una lieve pioggerellina venne giù (la bara era ancora aperta). L’uomo sulla carrozzina si avvicinò alla bara gridando: “Accursio, non ti hanno voluto benedire gli uomini, ti sta benedicendo Dio” (“Kussu un ti vosiru beniriciri l’omini ti sta biniricennu Diu”). Subito dopo la pioggia cessò ed Accursio entrò nel cimitero, mentre tutti i presenti si fecero il segno della croce».
La storia di Accursio Miraglia ha ispirato poeti e scrittori. Leonardo Sciascia ha rivelato nel libro intervista La Sicilia come metafora: «Il giorno della civetta mi è stato ispirato dall’assassinio a opera della mafia, a Sciacca, del sindacalista comunista Miraglia».