È stato presentato al Festival di Cannes e sarà nelle sale italiane dal prossimo 23 settembre l’ultimo film di Nanni Moretti, dal titolo “Tre piani”. La pellicola riguarda la storia di alcuni personaggi che vivono in tre piani diversi dello stesso palazzo. È la prima volta che Nanni Moretti sceglie di dirigere un lungometraggio a partire da un soggetto non originale, cioè da una materia non propria: si tratta di una decisione importante e radicale, come ogni gesto proveniente dal cineasta romano.
A livello di rielaborazione operata sulla fonte di partenza, il film sposta l’azione da Tel Aviv a Roma e mescola gli accadimenti delle famiglie in un unico flusso narrativo, elidendo dunque quella sostanziale separazione dei tre piani in tre capitoli ben distinti del romanzo, ma soprattutto cancella i background da una memoria collettiva e storicamente dolente. Intatto, però, resta il sapore umanista del racconto, attento ai sentimenti sviluppati davanti ai grandi temi dell’esistere: l’amore, la paura, la solitudine, il segreto, il dubbio.
Al primo piano di una palazzina vivono Lucio, Sara e la loro bambina di sette anni, Francesca. Nell’appartamento accanto ci sono Giovanna e Renato, che spesso fanno da babysitter alla bambina. Una sera Renato, a cui è stata affidata Francesca, scompare con la bambina per molte ore. Quando finalmente i due vengono ritrovati, Lucio teme che a sua figlia sia accaduto qualcosa di terribile. La sua paura si trasforma in una vera e propria ossessione.
Al secondo piano vive Monica, alle prese con la prima esperienza di maternità. Suo marito Giorgio è un ingegnere e trascorre lunghi periodi all’estero per lavoro. Monica combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali. Giorgio capisce che non potrà più allontanarsi da sua moglie e sua figlia. Forse però è troppo tardi.
Dora è una giudice, come suo marito Vittorio. Abitano all’ultimo piano insieme al figlio di vent’anni, Andrea. Una notte il ragazzo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere. Vittorio pensa che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. La tensione tra padre e figlio esplode, fino a creare una frattura definitiva tra i due. Vittorio costringe Dora a una scelta dolorosa: o lui o il figlio.
Il regista Nanni Moretti sul suo film specifica: «Il film “Tre piani”, come il libro di Eshkol Nevo da cui è tratto, racconta le storie di tre famiglie che vivono nello stesso palazzo. Affronta temi universali come la colpa, le conseguenze delle nostre scelte, la giustizia, la responsabilità dell’essere genitori. I personaggi, fragili e spaventati, sono mossi da paure e ossessioni, e spesso finiscono per compiere azioni estreme».
«Eppure le loro motivazioni emotive e sentimentali sono sempre comprensibili. Mentre nel libro le storie si interrompono nel momento più alto della crisi, nel film era importante farle accadere fino in fondo, indagare le conseguenze delle scelte compiute dai personaggi, vedere le ripercussioni che le loro azioni hanno sulla loro vita e su quella dei loro cari».
«Ogni storia è stata sviluppata come fosse un film a sé, per poi essere intrecciata alle altre. Il continuo alternarsi da un personaggio all’altro non concede alla narrazione sospensioni o scene di passaggio, ogni scena diventa necessaria. La profondità delle tematiche affrontate nel libro mi ha suggerito uno stile essenziale e un tono asciutto, che non permettono distrazioni o divagazioni».
«In un momento in cui si parla molto di cosa lasceremo ai nostri figli in termini ecologici, si parla poco di cosa lasceremo loro in termini etici e morali. Ogni gesto che noi compiamo anche nell’intimità delle nostre case ha conseguenze che si ripercuoteranno sulle generazioni future. Di questo ognuno di noi deve essere consapevole e responsabile: le nostre azioni sono quello che noi lasciamo in eredità a chi viene dopo di noi».
«Questa storia racconta la nostra tendenza a condurre vite isolate, ad alienarci da una comunità che non solo non vediamo più, ma di cui pensiamo anche di poter fare a meno. Eppure le vicende di questi personaggi ci mostrano quanto tutti noi siamo coinvolti nello sforzo comune di sentirci parte di una collettività. Il film è un invito ad aprirsi al mondo esterno che riempie le nostre strade, fuori dalle nostre case. Ora sta a noi non rinchiuderci nuovamente nei nostri tre piani».
“Tre piani” è rimasto congelato per oltre un anno, in attesa di Cannes e della sala. «Ho detto al mio produttore Domenico Procacci: non voglio sapere quanto offre Netflix per programmare il mio film sulla piattaforma scavalcando la sala. Non sono per la sala cinematografica per un fatto nostalgico: io amo i film al cinema ancora prima che come regista, produttore, attore, esercente, come spettatore».