«Un esempio virtuoso, un piano da cui prendere esempio per casi analoghi». Così, in una nota, la capogruppo di Italia viva al Consiglio regionale del Lazio, Marietta Tidei, commenta l’intervento del sindaco di Guidonia Montecelio, Mauro Lombardo, e della sua amministrazione per arrivare alla rimozione di baracche e rifiuti del campo nomadi dell’Albuccione, località della città in provincia di Roma, venuto recentemente all’attenzione delle cronache per un disastroso incendio dei tanti che stanno caratterizzando l’estate nella Capitale e nel suo hinterland.
Tidei rimarca come lo sgombero stia avvenendo in maniera condivisa con le famiglie nomadi. «Si tratta – spiega la consigliera – di un insediamento abusivo, che risale a più di dieci anni fa, su un terreno di proprietà dell’ex Istituto Santo Spirito, oggi appartenente alla Asl Rm5. In due anni il lavoro dell’amministrazione di Guidonia, nello specifico dell’assessorato ai servizi sociali, guidato da Cristina Rossi, ha portato ad un percorso progettuale condiviso con le diverse associazioni e istituzioni che si occupano del problema dei campi Rom. Ad oggi molti residenti del campo hanno lasciato volontariamente le loro baracche tornando agli insediamenti da dove provenivano. Altri nuclei familiari, residenti a Guidonia, verranno assistiti temporaneamente dal Comune con un contributo per l’affitto».
Un percorso che ha portato l’assessorato comunale ai servizi sociali a stipulare dei “patti di corresponsabilità” con gli occupanti del campo. L’obiettivo, dice Tidei, è accompagnare «un percorso condiviso per restituire decoro, legalità e anche serenità ai cittadini che vivono nelle vicinanze e in definitiva a tutta la città».
Dello sgombero del campo dell’Albuccione si parla da due anni. Da quando, cioè, sarebbe stato possibile, da parte del Comune di Guidonia, arrivare alla rimozione forzata delle baracche. Ma, conclude Tidei, questa scelta avrebbe determinato «il rischio di disordini e tensioni e con la necessità, impossibile per le casse dell’ente, di sostenere economicamente le fragilità», per cui il Comune «è stato lungimirante, attento ai bisogni della città ma anche a quelli delle famiglie e dei numerosi bambini, disabili e anziani che popolavano il campo».