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Cambio vita in uno scatto

Da barista in un autogrill e calciatore semiprofessionista alla vetrina internazionale della moda. Davide, 24 anni, incrocia il suo destino in una serie di coincidenze. Così da Anagni viene catapultato a Milano e la sua esistenza cambia radicalmente

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«Non sono mai riuscito a dirlo apertamente, è difficile esprimere gli affetti più profondi. Ma ora che sono un po’ più adulto e un po’ più lontano, mi sento di dire ai miei genitori che hanno fatto un gran bel lavoro». Davide Santangeli, 24 anni, una carriera di modello che lo ha reso noto sul palcoscenico internazionale della moda, tradisce la commozione quando ci racconta delle sue origini. È il secondo di ben cinque figli. Ed è una condizione che lo inorgoglisce. È fiero di come è stato cresciuto, educato e di come la sua famiglia tradizionale gli abbia trasmesso quella carica umana ed emotiva che ora è diventata la sua forza per affrontare la vita. E che vita! È bastato uno “scatto” perché la sua quotidianità si capovolgesse. Davide, infatti, è passato da uno scatto calcistico ad uno scatto fotografico. Ed eccolo là: passerelle, copertine, atelier.

Ma cominciamo dall’inizio di questa storia che appare come una favola, ma che in realtà nasconde situazioni insidiose con cui Davide ha dovuto fare i conti. Perché non si diventa modello d’alta moda all’improvviso. Dunque, dopo il liceo psicopedagogico, Davide s’iscrive alla Facoltà di Scienze motorie, ma ben presto si accorge che non gli appartiene, sebbene lui giochi a calcio in maniera semi professionistica, tanto che si trasferisce a Campobasso per militare nella locale squadra di calcio.

Prosegue nell’attività calcistica anche al ritorno nella sua Ciociaria, nella sua città di origine, Anagni, ma le sue prestazioni sono mutate. Milita nell’Eccellenza e la sfiducia lo morde. Nel frattempo, trova qualche lavoretto. «Facevo il barista in un autogrill – ci racconta Davide –: un’esperienza che mi ha segnato molto. Ho lavorato duramente e mi è servito per comprendere cosa vuol dire occuparsi di un mestiere in maniera così faticosa. Al bancone spesso eravamo travolti da una ressa di persone che sventolavano lo scontrino e che si aspettavano di essere servite subito. Facevamo l’impossibile per servire tutti: sudavamo, ma non potevamo offuscare il sorriso. Neanche di fronte alla prepotenza di qualcuno che si sentiva superiore a te. Per mettere qualche soldo in tasca e non pesare sui miei che hanno sempre condotto una vita semplice, ho fatto anche qualche lavoro da muratore».

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Ma il primo segnale del destino è arrivato mentre il ventenne si trovava proprio all’interno dell’autogrill. «Già tanti amici mi ripetevano che avevo le caratteristiche fisiche per fare il modello e avevo vinto più volte una simpatica competizione che si svolgeva negli ambienti calcistici che frequentavo, “Il più bello della squadra”. Poi è accaduta una circostanza particolare che mi ha fatto decidere di tentare questa strada, benché io sia stato sempre molto scettico e con i piedi per terra. Un giorno, mentre passavo lo strofinaccio davanti al frigo dell’acqua, un avventore mi chiese dove era il bagno. Io, senza neanche guardarlo negli occhi perché impegnato nella pulizia, gli indicai la toilette. Mentre andava via, mi disse inaspettatamente: “Comunque, tu non devi stare qui a fare i caffè, tu devi fare il modello”. Rimasi interdetto, per me era uno sconosciuto e pensai addirittura ad uno scherzo. Ma lo presi in parola. Questa paradossale circostanza mi aveva destato curiosità».

«Così -continua Davide – decisi di tentare la sorte e cominciai a contattare qualche agenzia romana. Un’agenzia mi chiese delle foto e mi avviò ad un corso di formazione. Mi avevano dato fiducia, ma poi scoprì di cosa si trattava. Il corso era a pagamento, 1.200 euro, e ricordo che li pagai con assegni postdatati sottraendoli dallo stipendio di barista. Avevo solo quella entrata. E con il senno di poi ho capito che non era una situazione cristallina. Con loro feci solo un lavoro, la comparsa per una campagna pubblicitaria. Un giorno intero sotto il sole cocente di luglio, caldo terrificante, per una retribuzione di 40 euro con ritiro presso l’agenzia. Quindi, sottratto il costo del biglietto del treno per Roma, quella giornata mi venne pagata 30 euro».

«La delusione fu tanta e abbandonai l’idea di entrare a far parte di quel mondo con il quale avevo avuto un approccio mortificante. Fino ad un’altra strana circostanza. Mi contattò un talent scout, una persona che lavora per le agenzie di moda: mi disse che il mio profilo era interessante. Aveva notato le mie foto su un social network. Risposi distaccato: non volevo cadere in un altro tranello. Ma lui fu così rassicurante e professionale, che alla fine partecipai alla selezione che mi aveva indicato, organizzata da una prestigiosa agenzia milanese. Presi il treno; questa volta invece di cento feci seicento chilometri e mi ritrovai davanti ad una fila di oltre quattrocento persone. La selezione fu molto rigida. La prima scelta si basava sull’altezza, poi sul portamento. In semifinale eravamo in 16, otto donne e otto uomini. Di fatto, ci fu un vincitore, ma in realtà vincemmo tutti perché per la prima volta venne stipulato un contratto a tutti i finalisti. Insomma, eravamo piaciuti. Da quel giorno, sono passati quasi quattro anni».

Ora Davide Santangeli conduce una vita molto diversa, più eccitante, ma senza certezze. «Certo che mi mancano gli amici, i miei fratelli e le mie sorelle, ovviamente i miei genitori, e so che un giorno tornerò a casa per sentirmi più persona e meno un’immagine. Per tornare a vivere quei paesaggi naturali in cui sono cresciuto e fanno bene alla mia anima, ma per ora va bene così. Ogni giorno è diverso dall’altro: non sai mai dove andrai e cosa farai. Una telefonata di un minuto può pianificare le tue ore o i tuoi giorni successivi».

«Prima della pandemia viaggiavo anche all’estero così come il mio volto. Diciamo che non è un’emozione da poco vedere il proprio viso su un cartellone pubblicitario al centro di New York! Oppure incontrare il signor Armani o Dolce e Gabbana o altri maestri della moda. Ora lavoro per Prada. Che sia un indossatore in un atelier dove si confezionano gli abiti, in uno show room dove i rivenditori scelgono i capi, in passerella o davanti ad una macchina fotografica, ora questa è la mia professione. E cerco di rispettarla non perdendo di vista quei principi di vita sana che ho appreso dalla mia famiglia. È facile vedere situazioni di troppa leggerezza o evasione nell’ambiente che frequento. Ma io amo la semplicità, lo sport: mi manca il calcio e ho abbracciato la bici».

Quando chiediamo a Davide dell’amore indugia un po’ ma poi risponde con saggezza e una punta di timidezza. «Forse non è il momento per stringere rapporti di responsabilità. Non sarei in grado di gestire una vita a due. Insomma… se avessi una persona al mio fianco non potrei dedicarle il tempo di cui ha bisogno. E poi, credo che certe cose capitino in maniera spontanea. Ma approfitto di questa conversazione per rivolgermi alle persone che intendono tentare la strada della moda. Ogni tanto, infatti, ricevo telefonate da parte di giovani che chiedono consigli. Prima di tutto occorre essere consapevoli di ciò che si è, ovvero delle possibilità estetiche effettive e se l’aspetto potrebbe risultare interessante, pronti a misurarsi con la realtà dunque. E soprattutto bisogna stare bene attenti alle lusinghe dei venditori di illusioni il cui unico fine è lucrare sulle belle speranze di tanti ragazzi e ragazze che, pur di introdursi in maniera corretta e ingenua in questo ambiente, sono disposti a tutto. No, c’è un limite. E se vi chiedono soldi per un book fotografico e per un corso di formazione, non mostrano serietà. Il buon senso è la prima regola da seguire e sono certo che una buona dose di fortuna sarà d’aiuto».

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Marina Testa
Marina Testa
Cresciuta a pane e televisione, maturata negli ambienti della stampa scritta, parlata e visiva, sono una giornalista professionista dal 2004 con esperienze anche nell'ambito di uffici stampa pubblici e privati. Credo nella comunicazione e nell'informazione perché significa entrare in contatto con le persone, raccontare realtà che altrimenti resterebbero fuori dalla porta della storia. A volte sono i luoghi stessi la testimonianza diretta di quanto avvenuto. A volte basta uno scatto fotografico per capire. Vivere nella Valle del Sacco ha radicato ancora di più alcune mie innate convinzioni sul rispetto e l'integrazione con l'ambiente naturale, fonte dell'esistenza di tutti. Un assioma che permea l'attivismo in una federazione per la promozione della ciclabilità.
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