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HomeCultura e spettacoliMichele Amadori, la musica come mezzo per riscoprire il valore delle cose

Michele Amadori, la musica come mezzo per riscoprire il valore delle cose

Prolifico e versatile: canta, suona, scrive canzoni e musiche per sé e altri, per teatro e tv. Artista che spesso ama stare dietro le quinte

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Ironico ma anche profondo nel raccontare la vita e le vicissitudini esistenziali, Michele Amadori, musicista e cantautore calabrese, torna a suonare e a cantare dal vivo dopo un periodo d’assenza e la vittoria del Giffoni Film Festival, nel 2022, per la colonna sonora del film d’animazione “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Accompagnandosi alle tastiere, l’artista ha proposto al pubblico di Roma il meglio del proprio repertorio musicale, tratto dai sei album già pubblicati.

Per lui, applausi e attestazioni di stima anche dai colleghi – musicisti, parolieri e autori di musiche per il cinema e la televisione – intervenuti in occasione del concerto a l’Asino che vola, club della capitale noto per ospitare interpreti di pregio, emergenti o dalla carriera consolidata, come Francesco De Gregori e gli altri del Folk Studio.

Musicista prolifico e versatile, canta, suona, scrive canzoni, compone musiche per sé e per altri, per il teatro e la televisione, partecipa a progetti importanti restando spesso dietro le quinte. Ci concede un’intervista per raccontare la sua carriera trentennale e fare il punto della situazione sulla musica e la canzone d’autore in Italia oggi.

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La verve comica e l’umorismo disarmante sono il suo biglietto da visita. Si è presentato in scena accompagnandosi con le tastiere e un pollo di peluche – “Paul”, per gli amici – esposto in bella vista sul suo strumento musicale: è ironico o ha parenti illustri nell’industria del pollame?

«È chiaramente ironico e ormai da anni lo porto con me sul palco per anticipare la classica battuta: Amadori chi, quello dei polli? Ahimè, nessuna parentela. Io, degli Amadori, sono quello povero!».

Lei esordisce da piccolo, col gruppo folk “I figli di Calabria”. A 12 anni si diploma in teoria e solfeggio, poi in pianoforte al conservatorio; da quando aveva quindici anni scrive canzoni. In anni più recenti hanno parlato di lei a Tg2 Dossier: ci racconta in breve che cosa è successo?

«Beh, di sicuro possiamo dire che non è successo molto, se parliamo in termini di notorietà. A livello umano possiamo tranquillamente dire, invece, che sono sul palco da quando avevo 5 anni; con il gruppo folk “I figli di Calabria” dai 7 agli 11 anni, cantando le canzoni di Modugno e Carosone; poi al conservatorio Francesco Cilea di Reggio Calabria con il maestro Carlo Bernava; infine, sulla strada impervia del cantautore fuori dagli schemi con sei album autoprodotti.  Il Tg2 Dossier parlò di me, dedicandomi un servizio, dopo che una giornalista mi aveva ascoltato al Premio Lunezia con la canzone Protesto».

Per genere, contenuti e atmosfere impressi nelle sue canzoni, si comprende immediatamente che lei è un cantautore che oggi definiremmo “classico”, come Baglioni, Conte, Renato Zero: come vede la tradizione cantautorale, coi suoi testi di spessore, l’importanza delle parole, il tempo e la cura necessari per comporre musica, suonarla e realizzarne gli arrangiamenti, nello scenario attuale, tra app, Spotify, YouTube e talent show in Tv?

«Grazie intanto per avermi accostato a dei mostri sacri e devo ammettere che ci è andata molto vicina almeno per i gusti musicali che mi hanno formato. Come ho sempre detto, ho tre moschettieri preferiti nell’immenso panorama italiano: Claudio Baglioni, Rino Gaetano e Paolo Conte. Diversissimi tra loro ma a mio avviso i migliori nel loro genere».

«Dello scenario attuale ho ben poco da dire. Credo che mettere tutto dentro un calderone di musica liquida stia distruggendo la musica. Anche la mia si trova negli store digitali, su Spotify e Youtube, ma non faccio nulla per aumentare la mia visibilità, quindi è come se non ci fossi. Sono rimasto ai tempi dove un Lp era un libro sonoro e ti mettevi sul divano ad ascoltarlo mentre leggevi i testi e tutte le informazioni che conteneva su musicisti e quanti lo avevano realizzato, dedicandoci del tempo. Ma oggi credo che questa corsa frenetica quotidiana, che non si sa a cosa o dove porti, generi una disattenzione generale su tutto. E anche chi fa musica, per il dovere di competere, deve sintetizzare e stare dentro delle regole ferree: non senti un “solo” nemmeno a pagarlo; l’inciso, il classico ritornello, deve arrivare entro il minuto e la canzone durarne al massimo tre (ma già così viene definita lunga). Tutto ciò non fa per me!».

«I talent… c’è ancora chi li guarda? Sì, so che li guardano, ci mancherebbe, altrimenti non li darebbero in tv. Ma, rispetto al passato, questo modo di proporre la musica si sta ridimensionando. Sono però convinto che prima o poi si tornerà alla bellezza e alla necessità di gustarsi le cose».

Le sue canzoni raccontano storie d’amore o di nostalgia (Uno straccio sull’anima; Quello che sento), con dissacrante autoironia, le gesta del musicista di belle speranze (Musica per ascensori), il mondo fatuo della televisione, la bulimia di notizie e il sensazionalismo dei telegiornali (Nati per soffriggere), la malinconia e il sentirsi un po’ fuori posto, fuori moda, in questa società “liquida” e virtuale (Fatti due conti), per citarne alcune. Gran parte di queste canzoni sono composte da lei in collaborazione con altri autori.

«Sì, diciamo che il “primo” Michele Amadori scriveva molto di più anche i testi. Nei primi quattro album più della metà sono canzoni solo mie. Col passare del tempo, forse perché a un certo punto mi sono convinto d’aver poco da dire, ho iniziato a collaborare sopratutto con un nuovo autore, Alessandro Hellmann, mentre da sempre, già dal primo album, mi sono trovato in sintonia con l’amico e autore di sempre Gene Froio. Oltre a loro, in tutta la discografia mi sono avvalso della collaborazione di Fulvio Calderoni, Francesco Mirarchi, Luca Bussoletti, Enrico Nascimbeni, che ricordo con immenso affetto, e Oliviero Malaspina».

Oltre a realizzare dischi, Michele Amadori scrive musiche per il teatro, è in tour in veste di pianista con la Rino Gaetano Band di Alessandro Gaetano, nipote del cantautore scomparso nell’81, circola per concorsi canori e festival dedicati alla cultura, al cinema e ad altre arti, dove spesso viene premiato, com’è accaduto nel caso del film d’animazione Nel mare ci sono i coccodrilli, tratto dall’omonimo libro di Fabio Geda, che narra le vicende di Enaiatollah, un piccolo profugo che sua madre decide di abbandonare in Pakistan per salvarlo dai Talebani.

Inoltre, ha composto le musiche de La missione di 3P (di Vitellaro e Viola), dedicato a padre Pino Puglisi, e La stella di Andra e Tati, il primo film d’animazione europeo che affronta il dramma della Shoah, prodotto da Larcadarte e Rai Ragazzi in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, e ha ricevuto riconoscimenti internazionali, dalla Cina alla Polonia. Infine, ogni mattina si alza per andare a scuola a insegnare musica ai bambini.

Dal suo punto di vista, la musica in quanto arte, quanto spazio trova in Italia in questo momento? Si può ancora considerare un mezzo importante per la crescita umana e culturale nel nostro Paese e per la trasmissione di messaggi importanti, della conoscenza e della storia alle nuove generazioni?

«Mamma mia quante cose ho fatto! Eppure non si direbbe! Scherzi a parte, se mettiamo da parte la fama e il successo, per come viene inteso dal pubblico, mi ritengo fortunato per essermi circondato sempre di persone giuste. Giuste per il mio modo di vedere le cose, sia chiaro. Scrivere musiche per docufilm o corti d’animazione, oltre ad avermi portato soddisfazioni personali ha arricchito molto il mio bagaglio musicale. Sono stato fortunato anche riavvicinandomi in modo naturale ad Anna e Alessandro Gaetano, che avevo conosciuto nel ’97 quando chiesi il permesso di usare l’intro di Ahi Maria in un mio brano dedicato a Rino. Nel 2015 hanno chiesto la mia collaborazione per formare la nuova band, che poi è quella attuale, e da allora, oltre alla gioia, sento la responsabilità di portare avanti l’arte e la conoscenza di uno dei cantautori italiani più originali e veri».

«Poi c’è la scuola, c’è sempre stata e, come ho ribadito più volte, più che insegnare, sono io a imparare dai ragazzi. Se dovessi esprimere la mia opinione su quanto spazio trova in Italia la musica come arte – mi spiace ammetterlo – penso che sia l’Arte, in generale, a non trovare spazio in questo preciso momento storico, in Italia: tira una brutta aria.
A mio avviso, comunque, la musica sarà sempre un mezzo importante. È l’unica lingua universale che ci accompagna sempre e comunque. Mi piacerebbe vivere un giorno intero senza musica: in questo modo, magari, la gente smetterà di insistere nel considerare il musicista come un nullafacente senza un lavoro “vero”».

Tornando alle sue canzoni. Il suo ultimo album s’intitola Fermo al piano (musica per ascensori), dunque vorremmo chiederle se nei suoi programmi futuri intenda proporsi come lift-cantante per gli inquilini del suo palazzo o portare nuovamente la sua musica dal vivo, in concerto, come ha fatto recentemente a Roma.

«Nel mio palazzo ci pensa già il mio vicino di casa, con la musica a tutto volume e il karaoke. Non credo perciò che ci sia spazio per due cantanti nello stesso ascensore.
Pertanto,  solo per questo motivo, intendo riprendere i live con la mia musica».

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Giuseppina Brandonisio
Giuseppina Brandonisiohttps://musicheculture.altervista.org/
Giornalista pubblicista, conduttrice radiofonica, addetta agli uffici stampa, consulente per la comunicazione, saggista, nasco a Bari, ma lascio la mia città natale e la professione di maestra per trasferirmi a Roma. Studio all’Accademia del giornalismo musicale, mi laureo in Scienze della Comunicazione, conseguo la Laurea Magistrale in Editoria e Giornalismo, con lode. Da allora, mi divido tra il lavoro di cronista, direttore o vicedirettore responsabile di testate on line, caporedattrice, conduttrice di giornali radio, e la conduzione di trasmissioni musicali, di cui sono anche autrice. Apro e curo pagine “social” e lavoro per diverse testate, locali e nazionali, generaliste o musicali. Nel 2001 fondo anche un mio blog, Musiche & Culture. Esordisco giocando, nel giornalino della scuola elementare, e sogno il mio futuro professionale ascoltando la radio ma… per la cronaca, mi impegno a diventar concreta, attenta e scrupolosa.
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