Sono le ore 14:30 di domenica 23 gennaio 1994 allo Stadio Olimpico a Roma, quando il signor Pellegrino fischia l’inizio della partita Roma-Udinese: i giallorossi, guidati da Carlo Mazzone, giocano un match nervoso e con poche idee. I friulani, penultimi in classifica, ne approfittano e portano a casa la partita grazie ai gol di Branca e Pizzi, tutti nella prima frazione.
I tifosi della Roma escono dall’Olimpico infreddoliti e delusi per l’ennesima sconfitta della stagione. Ma nessuno sospetta neanche lontanamente quello che sarebbe dovuto accadere in quegli istanti proprio a due passi dallo stadio.
Per capirne di più dobbiamo fare un passo indietro di due anni: è il 1992 quando la lotta tra lo Stato italiano e la mafia siciliana tocca il suo apice, con gli attentati dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avvenuti a maggio e luglio.
Dopo l’arresto di molti responsabili, tra cui quello del boss Totò Riina, i mafiosi continuano a dichiarare guerra allo Stato tramite omicidi mirati e falliti attentati come quello di Via Fauro a Roma, con Maurizio Costanzo come obiettivo. Da non dimenticare anche le dolorose stragi di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Insomma, il clima in Italia è tutt’altro che sereno e sembra di essere tornati agli anni di piombo. Come un incubo che torna senza pietà alcuna.
Proprio in quel maggio del 1993, alcuni mafiosi guidati da Gaspare Spatuzza cominciano a confezionare un esplosivo molto potente per colpire l’Arma dei Carabinieri nei pressi dello stadio Olimpico. Questo gesto doveva rappresentare il “colpo di grazia” allo Stato. Dopo aver nascosto l’ordigno per trasportarlo fino a Roma, Spatuzza incontra il boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, detto Madre Natura.
Con alcuni uomini cominciano a monitorare tutti gli spostamenti dei Carabinieri prima e dopo di ogni partita. Spatuzza e Graviano arrivano ad una conclusione: il giorno dell’attentato è il 23 gennaio 1994, poco dopo Roma-Udinese di campionato. In via dei Gladiatori, una strada senza uscita adiacente ad un’entrata laterale dello stadio, ci sono due autobus pronti a riportare nelle caserme un centinaio di Carabinieri dopo la fine della partita.
Proprio in quel punto, Cosa Nostra ha parcheggiato una Lancia Thema stracolma di quell’esplosivo preparato mesi prima. I Carabinieri salgono in massa sugli autobus e Graviano dà l’ordine a Spatuzza di premere quel pulsante che è pronto a cambiare ancora una volta le sorti dell’Italia. Gli effetti sarebbero devastanti, sia per quanto riguarda le dimensioni della strage, sia per le eventuali ripercussioni su tutto il sistema Paese.
Ma qualcosa va storto: il telecomando non funziona e sia Spatuzza sia Graviano desistono. La Lancia Thema rimane lì ancora per qualche giorno senza destare sospetti finché non viene rimossa da un carroattrezzi grazie all’intervento di Antonio Scarano, spacciatore legato al clan di Matteo Messina Denaro. Questa rimane a tutti gli effetti l’ultima strage programmata da Cosa Nostra.
Gaspare Spatuzza viene arrestato nel 1997 ed è attualmente un collaboratore di giustizia, mentre l’altro inquietante protagonista della storia, Giuseppe Graviano, è in carcere e sta tuttora scontando l’ergastolo. Per fortuna, dopo tanta violenza e disperazione, la sorte è stata dalla parte giusta. Quando una semplice partita di calcio può cambiare le sorti di un Paese intero.