Non è una festa. Che la ricorrenza dell’8 marzo sia la Giornata internazionale dei diritti delle donne e non un’occasione gioiosa per dedicare omaggi floreali e organizzare momenti ludici, purtroppo, occorre ricordarlo puntualmente ogni anno. Non solo mimose, quindi.
Per averlo ben presente, senza bisogno di doverlo ricordare ogni 12 mesi ogni volta che si legge o si sente parlare di “festa” (anche da parte di donne, troppo spesso), basterebbe che ognuno dedicasse un attimo di attenzione ai dati ufficiali di femminicidi e violenze (ma molte non vengono denunciate per vergogna o paura) e ai rapporti dell’Onu, secondi i quali c’è ancora strada da fare per raggiungere l’obiettivo di una vera parità di genere entro il 2030, com’è negli auspici dell’Organizzazione.
A ricordarcelo in questi giorni è anche, tra le tante altre, la notizia di un’iniziativa di Roma Capitale. La giunta capitolina ha infatti ratificato un accordo di collaborazione tra il Servizio Roxanne e Oltre e l’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà). L’accordo prevede una sinergia tra il servizio sociale e quello sanitario al fine di individuare e segnalare possibili vittime di tratta intercettate dall’Inmp.
Nell’anno 2024 celebriamo quindi la Giornata internazionale dei diritti delle donne mentre le organizzazioni che si occupano della lotta alla tratta degli esseri umani ci ricordano quanto sia viva tutt’oggi nel mondo la piaga dello sfruttamento, e non solo sessuale, degli esseri umani. In maggioranza donne.
A ricordarci che l’8 marzo non è una festa arrivano anche i dati del rapporto delle Nazioni Unite The State of Food Security and Nutrition in the World (“Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo”). L’Onu ci dice che le donne e le bambine che soffrono la fame sono nel mondo circa 150 milioni in più rispetto agli uomini e ai ragazzi: la diseguaglianza di genere è una delle cause della fame e della povertà.
Tra il 2009 e il 2021, stima l’Onu, il divario di genere nell’insicurezza alimentare è raddoppiato, mentre nei 12 Paesi più colpiti dalla crisi alimentare globale la popolazione femminile malnutrita è aumentato del 25% nell’arco di pochi anni, tra il 2020 e il 2022.
«Il divario nutrizionale, che si riflette nella disparità di accesso al cibo e ai servizi – afferma Azione contro la fame, organizzazione umanitaria internazionale, nel suo rapporto Gender nutrition gap (“Divario nutrizionale di genere”) -, ha un impatto sulla salute e sull’economia di migliaia di donne e ragazze. L’intersecarsi di costumi culturali, ruoli sociali e pratiche discriminatorie contribuisce a questa crisi globale. Le donne e le ragazze sono sovrarappresentate tra le persone che soffrono di insicurezza alimentare perché spesso vengono loro negati i diritti umani fondamentali, come il diritto alla proprietà della terra, l’accesso a un lavoro dignitoso, all’istruzione e ai servizi sanitari. Non si può combattere la fame o colmare il divario nutrizionale senza agire tenendo conto del genere».
No, non è una festa.