Il momento stava arrivando, l’addio era inevitabile. Dopo 2 anni e mezzo, José Mourinho e la Roma divorziano. La notizia del suo esonero voluto dal presidente Dan Friedkin è arrivata come un fulmine a ciel sereno, proprio nel momento in cui sembrava certa la permanenza dello Special One sulla panchina giallorossa.
Certo è che la prestazione di Milano è stata decisamente sotto la sufficienza. Così come quella di appena quattro giorni prima nel derby con la Lazio. Due match in cui la squadra non ha espresso il minimo gioco e, stavolta, neanche quella tenuta mentale sulla quale Mou ha costruito una carriera. Crepe che si sono allargate negli ultimi tempi, ma che già davano i primi segnali all’inizio della stagione.
Già, perché con tutti i difetti che la Roma di Mourinho mostrava, quella prima della maledetta finale di Europa League di Budapest con il Siviglia aveva un mordente diverso. La comunque costante mancanza di gioco veniva sopperita da un agonismo che solo le squadre del portoghese hanno.
Forse, quello era il momento di lasciare. Da vinto e non da vincitore stavolta, ma sempre dal “lato giusto” della storia, dopo aver subito un torto arbitrale in un match così importante. Contro tutto e tutti, a modo suo. Si può discutere sulle tempistiche e sui modi del suo esonero, ma va detto che Mou ha la sua corposa parte di responsabilità nella mancanza di risultati della Roma.
Sia chiaro: i problemi della Roma non finiscono con l’esonero di Mourinho. Anzi, forse questo è il momento di interrogarsi più a fondo sulla qualità della rosa e della dirigenza. I punti deboli sono tanti, troppi per una società che punta a ritrovare la qualificazione in Champions League: in primis l’ex direttore sportivo Tiago Pinto ha impostato un mercato estivo puntando tutto sull’ingaggio di Romelu Lukaku per mettere sotto al tappeto la polvere di scelte discutibili.
L’acquisto di Renato Sanches, praticamente inesistente, è stato un totale fallimento. Gli infortuni continui del centrocampista portoghese si conoscevano, ma anziché intervenire in maniera più accorta per puntellare la rosa, si è preferita una scommessa dall’esito scontato. Pinto doveva fare meglio anche per quanto riguarda le fasce, il vero punto debole dei giallorossi: Celik, Spinazzola, Karsdorp, Zalewski e Kristensen sono cinque nomi che mettono i brividi a tutti i tifosi. Rendimento troppo scarso per essere vero.
La misteriosa scomparsa di un pilastro della difesa come Chris Smalling e i costanti infortuni di Paulo Dybala, la vera stella della squadra, sono altri due elementi che stanno contribuendo ad una stagione da incubo per i giallorossi. Oltre ad una presidenza americana che mette in pratica un ragionamento tipicamente capitalista, basato su un’assioma che qui in Europa, però, è altamente opinabile: più si paga un bene più quel bene renderà.
Ed ecco che da Mourinho, la Roma passerà nelle mani di una bandiera come Daniele De Rossi. L’idolo dei tifosi avrà il compito di traghettare la squadra verso un piazzamento nelle coppe per poi essere giudicato a giugno. In ogni caso, i colloqui con Antonio Conte per la prossima stagione proseguono. Ma senza una vera e propria pianificazione e senza idee, la società rischia di sprofondare.
Anche per questo, il compito di De Rossi è davvero arduo, soprattutto per uno che ha un’esperienza minima in panchina. La sua conoscenza dell’ambiente lo potrà aiutare, così come il suo temperamento, ma far esprimere qualità ad una rosa che per qualità non brilla è un’impresa titanica. In bocca al lupo, Daniele! Ti servirà.