Chi oggi ha diffuso ad arte su Facebook e tramite WhatsApp, i due strumenti di socializzazione più usati dalla generalità delle persone, la “bufala” della chiusura di Report, non l’ha fatto a caso. E non è una buona cosa, anche se qualcuno pensa (in buona fede) che serva comunque a sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica a tutela del meritevole programma di approfondimento giornalistico della Rai.
Questa “bufala” (leggi: Lunedì tutti su Rai 3, vogliono chiudere Report: il ritorno della bufala su Sigfrido Ranucci), è stata condivisa in buona fede da molti di coloro che (giustamente) vogliono difendere Report da ogni possibile attacco. Queste persone in buona fede non sono i soliti sprovveduti che condividono qualunque meme o fake new passi sulla loro home, ma persone che ragionano e sono attente alle problematiche sociali. Le menti perverse (e anche dotate di strumenti tecnici già “rodati” per la diffusione virale di messaggi social) che hanno partorito questa fake new, lo hanno fatto solo per creare apposta confusione fra queste persone in buona fede, attente, socialmente impegnate e responsabili. La confusione crea danni soprattutto a chi ragiona seriamente, perché lo porta a diffidare di tutto, anche degli appelli veri. Il dubbio è delle persone intelligenti; gli sciocchi non hanno dubbi (e continueranno imperterriti a condividere imbecillità).
Eppure c’è chi, appreso che si è trattato di una “bufala”, sostiene che ad ogni modo, nel caso specifico, lo sia stata a fin di bene, visto che la meritoria trasmissione Report è effettivamente sotto l’attacco incessante dei suoi detrattori, a causa delle sue coraggiose inchieste giornalistiche. Il fatto che si possa ipotizzare la legittimità di una categoria di “bufale a fin di bene”, però, inquieta molto. Le “bufale” sono sempre e comunque un inganno ai danni dell’opinione pubblica. Inganno, cosa ancora più grave, deliberato.
L’eventuale legittimazione lascerebbe anche pericolosamente aperta la questione di chi sarebbe autorizzato a stabilire quale potrebbe essere il fine di bene. E, poi, bene per chi? I punti di vista sono, per loro natura, relativi; quindi il bene è un concetto che, al di là delle questioni filosofiche, giuridiche e storiche, viene risolto in maniera spicciola da parecchi identificandolo con il proprio. E quindi il bene potrebbe essere anche la convenienza nell’affermazione delle proprie idee a scapito della corretta analisi e della libera formazione del convincimento da parte dell’opinione pubblica.
Sul caso specifico della “bufala” su Report, poi, è da rilevare come non sia stato dato adeguato peso a due circostanze che la caratterizzano: la viralità e la fonte.
In merito alla viralità, diffondere capillarmente una notizia come quella, con tanto di post copia-incolla su Facebook, e per di più utilizzando anche un mezzo molto personale e invasivo come WhatsApp, implica una organizzazione che non può avere un singolo e neanche un gruppo di pressione a sostegno della libertà di informazione o a difesa del valore del programma, posto sotto attacco dai suoi detrattori. Questa forza organizzativa e operativa può averla, invece, un’organizzazione come quelle che da anni, ormai, riempiono i social (e di recente anche la messaggistica istantanea personale, quindi avendo a disposizione recapiti telefonici privati da cui iniziare la “catena di sant’Antonio”) di messaggi propagandistici e notizie non verificate, per lo più “bufale” o mezze verità a cui vengono legati fini strumentali.
Quanto alla fonte, ci siamo chiesti da dove sia partita questa “bufala”? Come mai nessuno lo sa? Se fosse partita da una persona, da un’associazione di consumatori, da un gruppo di pressione sociale, da cittadini mobilitati a difesa di Report, avremmo un soggetto con cui confrontarci per capire movente e finalità di quella comunicazione, poi rivelatasi basata su presupposti falsi. Il fatto che, come quasi sempre succede nel caso di “bufale”, la fonte non sia identificabile, e con essa anche a chi giova la diffusione della fake new, dovrebbe aggiungere dubbi e inquietudini alle nostre riflessioni.
Se tante persone intelligenti e sensibili, a causa di fake news come questa su Report e di altre che potranno farvi seguito, cominciano poi (una volta scoperto che si tratta di “bufale”) a dubitare di appelli seri alla tutela della libertà di informazione nei casi di emergenze vere e immediate, per colpa di queste strumentalizzazioni che li hanno “bruciati” sarà più difficile mobilitarli sulle cose serie. Non è, quindi, una fake new fatta circolare a caso. Ma per instillare il dubbio e creare una “cortina fumogena” di diffidenza intorno agli appelli seri alla tutela della libertà di stampa. La storia di chi gridava «Al lupo, al lupo!» quando il lupo non c’era, solo per gioco e per il divertimento di spaventare la gente, sappiamo com’è andata a finire quando il lupo è arrivato davvero.
Foto: immagine dal sito bufale.net