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Una pista ciclabile non fa primavera

L'economia “verde” ha creato maggiore attenzione al decongestionamento delle città dalle auto. Ma molto c'è ancora da fare. Fiab, la Federazione italiana ambiente e bicicletta, ha presentato al Governo, con altre 30 associazioni, un appello a rivedere il modello di mobilità cittadina

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Angelo, 58 anni, ogni mattina monta sulla bici e si dirige al lavoro percorrendo non meno di venti chilometri e facendo lo slalom tra le macchine; è un funzionario pubblico. Sergio, 62 anni, per anni addetto alla qualità in una multinazionale, va a fare la spesa su due ruote e non disdegna una passeggia sul lungomare. Valeria, urbanista 44enne, per muoversi nella sua grande città usa esclusivamente la bicicletta e la parcheggia ovunque. Noemi, 27 anni, igienista dentale, si allena come un’atleta mostrando paesaggi mozzafiato sui social media. Alessandro, urbanista e presidente nazionale della Fiab, che inizia la giornata accompagnando un gruppo di bambini in bici nel percorso casa-scuola. E poi ci sono anche Giovanni, Marco, Stefania, Maria Teresa, Raffaele… e altri quasi 18.000 nomi che credono nella mobilità ciclabile.

Fanno parte del popolo della Fiab – Federazione italiana ambiente e bicicletta (https://fiabitalia.it/). Un altro numero per identificare la Fiab è 164: tante sono le associazioni che aderiscono a questa organizzazione, che ha più di trent’anni di vita. Una grande comunità unita dalla convinzione che la bicicletta è il veicolo principe della transizione.

Ma cosa fa Fiab? Il lavoro della Federazione è principalmente culturale. Contrapporre la logica dei veicoli a motore a scenari più a dimensione umana con la bicicletta quale veicolo idoneo a generare condizioni di salute, decoro e benessere in qualsiasi contesto soprattutto urbano. Una vera fatica insomma. Il confronto con l’industria dell’auto finora è stato impari. Perché la macchina ha rappresentato negli anni una grandissima comodità e il simbolo di un riscatto sociale. Tanto è vero che spesso chi continuava ad usare la bici per muoversi in maniera ordinaria veniva spesso guardato come una persona di modeste possibilità.

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Ma ecco che è arrivata la grande onda verde, l’economia green, a contrastare l’invasione dei mezzi “alieni” nelle città congestionate e a cercare di arginare i danni di un sistema industriale sfruttatore e inquinante. La leva è stata la pandemia che ha rimesso in moto la macchina dell’industria dei veicoli puliti, quali appunto la bicicletta muscolare ed elettrica, i monopattini. Con una pioggia di incentivi all’acquisto. Ma dalla scena urbana non sono scomparse le auto che si stanno adeguando al nuovo mercato trasformandosi in elettriche.

E qui subentra Fiab, che invita a ripensare e ridimensionare la funzione dell’auto limitandone gli ingressi nelle città, che vanno gradualmente restituite alle persone, a piedi come in bici. Detta così sembra bello, ma in realtà si tratta di modelli ancora lontani da una vera situazione fatta di città ancora in buona parte prive di servizi simili. Tuttavia, non si può ignorare, anzi è da apprezzare, l’interesse di numerose amministrazioni comunali ad investire in infrastrutture e spazi ciclabili, che effettivamente stanno prendendo corpo. Ma può bastare? Decisamente no.

Roma, ad esempio, nonostante siano stati aperti cantieri ciclabili in diversi quartieri, è ancora presa d’assalto da oltre un milione e 700mila autovetture circolanti (https://www.osservatoriopums.it/). Un’enormità, così come è immensa la massa di persone che frequenta la Capitale. Le modalità di spostamento sostenibile, come i mezzi pubblici, non sono sufficienti.

E poi ci sono le nuove costruzioni. Altro cemento, altre persone, altre macchine. E i servizi? Sappiamo che il Comune di Pesaro, dove nel 2005 è germinata l’idea della Bicipolitana, ha inserito le piste ciclabili nelle opere di urbanizzazione legate alla costruzione di palazzine private. E sappiamo che gli attriti con alcune categorie, come i commercianti, sono stati aspri. Ma la città è tornata a respirare anche con drastici provvedimenti di riduzione del traffico a motore, come ztl e zone 30.

Fiab, oltre a valorizzare il concetto della bici attraverso cicloescursioni, eventi, seminari, documenti (https://www.andiamoinbici.it/), ha creato ComuniCiclabili, per mettere in rete e assistere i Comuni nella transizione verso città a misura di persona, mediante valutazioni analitiche e formazione qualificata permanente. Fiab si è dotata di un Centro studi composto da esperti e professionisti che si occupa di produrre guide, consigli e formazione. Recente è il vademecum “Dare strada alle biciclette: i nuovi provvedimenti del Codice della Strada per favore la sicurezza ciclabile”. E poi Ciab, il Club delle imprese amiche della bicicletta, per guidare le aziende private e pubbliche nella promozione della bicicletta negli spostamenti casa-lavoro. Accordi istituzionali e scientifici, come quello con la Società italiana di pediatria, sono al centro di continue campagne di sensibilizzazione che hanno come missione #PRIMALABICI.

Dunque, la strada è lunga. Ma finalmente è stata intrapresa, si spera in modo serio e duraturo. Il sostegno e la spinta dell’Unione Europea attraverso i fondi di Next Generation EU saranno determinanti e passano tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrà essere predisposto dal nostro Paese entro il 30 aprile. La Missione 2, denominata “Rivoluzione verde e transizione ecologica” è volta a realizzare la transizione verde ed ecologica della società e dell’economia italiane. Le risorse contemplate ammontano al 69,8 miliardi. La Missione 3 “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” prevede risorse per 31,98 miliardi di euro. A queste si affianca la Missione 4 sull’Istruzione e la Ricerca che, con i suoi 28,49 miliardi di euro, comprende anche l’adattamento alle sfide tecnologiche e ambientali.

Fiab, insieme ad altre trenta organizzazioni ambientaliste, ha rivolto un appello a Draghi affinché in sede di Governo si punti sulla mobilità ciclistica con un’apposita Direzione nel Dipartimento Trasporti, con deleghe al sottosegretario, una figura nella segreteria tecnica del Ministro, l’introduzione di un Bike Manager e ha chiesto di completare il lavoro sul regolamento del Codice della Strada per la moderazione del traffico. Insomma, una graduale ma sostanziale rivoluzione perché una pista ciclabile non fa primavera.

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Marina Testa
Marina Testa
Cresciuta a pane e televisione, maturata negli ambienti della stampa scritta, parlata e visiva, sono una giornalista professionista dal 2004 con esperienze anche nell'ambito di uffici stampa pubblici e privati. Credo nella comunicazione e nell'informazione perché significa entrare in contatto con le persone, raccontare realtà che altrimenti resterebbero fuori dalla porta della storia. A volte sono i luoghi stessi la testimonianza diretta di quanto avvenuto. A volte basta uno scatto fotografico per capire. Vivere nella Valle del Sacco ha radicato ancora di più alcune mie innate convinzioni sul rispetto e l'integrazione con l'ambiente naturale, fonte dell'esistenza di tutti. Un assioma che permea l'attivismo in una federazione per la promozione della ciclabilità.
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