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Massimiliano Cacchiarelli: l’arte e il sogno. E un po’ anche Ant-Man

«Sprechiamo l’esistenza per raggiungere una condizione che esiste solo nella nostra immaginazione: con molta probabilità non si avvererà mai»

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Oggi lascio la parola ad un artista “incontrato” su Facebook, Massimiliano Cacchiarelli, le cui opere mi hanno favorevolmente colpita. Pittore, disegnatore e scultore, è protagonista di molte esposizioni in Italia e nel Regno Unito. Ecco la nostra chiacchierata virtuale.

In quale periodo della tua vita hai sentito che volevi essere un artista?

«Non sento di averlo mai esattamente desiderato: me ne sono semplicemente ricordato quasi da subito. È, infatti, uno tra i primi miei ricordi coscienti, che risale a quando avevo più o meno a tre anni. Intendo dire che non desideravo essere un artista (caso mai un musicista, quello sì mi sarebbe piaciuto o, anche meglio, Sandokan.). È stata una necessita fisiologica, quindi l’ho accettato come si accetta un normale altro bisogno. In verità ora è molto più semplice, ma non è sempre stato così. Insomma, col trascorrere delle stagioni, si impara ad accettare che, senza cercare di sapere perché, dobbiamo prendere parte a questo immenso, imperscrutabile, teatrino che è il mondo delle forme».

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«Praticamente, ho compreso che se gli esseri viventi riescono ad accogliere la guerra, il dolore, la violenza, la fame, il mondo dell’informazione (in tutte le sue salse), non era poi così difficile per me accettare il ruolo che la vita aveva assegnato al mio personaggio. Il mondo fenomenico è simile ad un immenso orologio, in cui ciascuna creatura è un ingranaggio con una precisa collocazione e funzione o, se preferisci, un’orchestra, in cui a ciascun musicista sono affidati una parte e uno strumento precipuo. La vita è così: un grande direttore d’orchestra, che ci assegna un posto ed un ruolo».

«Tuttavia, il golfo mistico è immenso e siamo così tanti, innumerevoli che, confusi e smarriti tra questa folla infinita, è facile sbagliare, sedere al seggiolino che non ci compete, imbracciare lo strumento che non sappiamo suonare. Io il mio posto l’ho riconosciuto presto; non convintamente mi sono seduto ed ho impugnato il mio strumento. Poi, crescendo, per qualche anno mi sono divertito a vagabondare tra le fila dell’orchestra, provando qualche strumento qua e là. Ad un certo punto, forse per la paura di commettere un grave errore, sono tornato a sedere al mio posto e lì ancora sto. Ma anche l’idea di commettere errori è solo una delle tante illusioni che ci lusingano nel mondo delle forme, dato che la vita, lo sento profondamente, non commette mai errori, anche quando “sbaglia”».

Il motivo? Se ne hai uno.

«Esiste un motivo per cui qualcosa nella vita è ciò che è? Per cui il cuore batte ed un giorno decide di smettere, perché il sole sorge e tramonta? Personalmente non ne sono a conoscenza».

«In ogni caso, ritengo non esista una spiegazione logica e razionale, quindi esprimibile a parole, che valga la pena essere detta, dato che nel momento stesso in cui la dicessi, essa non sarebbe certamente vera. Del resto, perché impacchettare tanto, dare una forma ad un regalo dell’esistenza? La vita è un dono e, se si riesce a viverla con gioia, automaticamente dissolve il bisogno (esclusivamente egoico) di attribuirle un senso».

Qual è l’apprezzamento più bello che hai ricevuto in campo artistico? E (se vuoi) da chi?

«Ho ricevuto diversi apprezzamenti nel corso degli anni. Ne sono grato: indubbiamente sono cose che nutrono ed accrescono l’ego. Tuttavia nessuno che abbia inciso un solco tanto profondo nella mia memoria, che io ora riesca a riconoscere. In fondo è la memoria non cosciente che ci rende familiare la realtà, non quella cosciente, tra le cui trame albergano innumerevoli falle (la mia poi è tutta un buco!). Pertanto, in quanto oggetti mentali, i miei ricordi li conservo indistinti in qualche luogo che ignoro, con pari gratitudine per ciascuno».

E l’apprezzamento che sogni di ricevere in futuro?

«Non si tratta tanto di apprezzamenti, piuttosto di piccoli frammenti onirici, sogni, se così possiamo chiamarli, di uno scenario differente, un mondo nuovo inabissato nell’umiltà, in cui le creature che lo popolano siano discrete in tutto fuorché in amore, dove un personaggio come il mio non possa conoscere gioia più grande dell’esser servo dell’Arte».

Ci sono artisti a cui ti ispiri? O che comunque ammiri particolarmente? Me ne dici uno italiano e uno straniero, aggiungendo la motivazione?

«L’artista cui mi sono sempre ispirato (oltre mio padre Alfonso, sono più che sincero) è la vita, nessun altro. Il suo incedere misterioso mi attrae, mi induce a seguirla ed imitarla. Come una scimmietta galleggio sbarellato e confuso nel grande fiume dell’esistenza, trasportato dalla sua corrente che scorre, come direbbero i mistici, tra le sponde del piacere e del dolore. Di tanto in tanto, mi areno su questa o quell’altra sponda e con un assurdo sorriso di plastica stampato sulla faccia, creando le mie opere rifletto il mondo, dimenticando, spesso, che il mondo è solo una mia proiezione».

Il tuo luogo ideale.

«Quello del cuore, dove non avverto il bisogno di essere niente, tranne che di essere ciò che sono. Per raggiungerlo non ho bisogno di fare nemmeno un passo, mi basta guardarmi dentro, incrociare lo sguardo della mia compagna, di mia figlia e sono già lì».

Se tu fossi un supereroe, che supereroe saresti e che superpoteri avresti?

«Un supereroe? Non saprei. Come si dice: da grandi poteri derivano grandi responsabilità, dunque ne vale la pena? Sinceramente, fino qualche anno fa, conoscevo molto poco il mondo dei supereroi e devo questa mia recente, sebbene scarsa, cultura a mia figlia. Grazie a lei ho compreso e rivalutato la loro importanza, dato che, in qualche modo, recuperano e reinterpretano, in chiave contemporanea, il mito classico in un’epoca, la nostra, in cui sembra smarrito il contatto con la dimensione del sacro».

«Quindi ben venga, tanto più che non tutti i supereroi hanno superpoteri: alcuni hanno “semplicemente” super-conoscenze, o hanno acquisito le loro capacità in seguito ad un evento eccezionale, per lo più un incidente. In tal caso, il primo che mi viene in mente di essere è Ant-Man ma, invece che vagabondare nel vuoto quantistico, piuttosto diventerei tanto piccolo, ma così piccolo, da riuscire ad entrare (se mai fosse possibile) in uno spazio infinitamente ridotto, il vuoto più spaventoso immaginabile, quello dei pensieri e delle buone intenzioni di tanti miei simili».

Se tu avessi la macchina del tempo, dove andresti?

«Se avessi la macchina del tempo la terrei in soffitta, tra le mille cose inutili e caotiche che la popolano. Che cosa intendo? Che per me il tempo, in senso assoluto, proprio non esiste; o meglio esiste, ma solo come frutto di un doloroso processo mentale. Se esistesse realmente una qualche continuità temporale, allora come è possibile che tutto ciò in cui ci identifichiamo (il nostro corpo, la mente ed i suoi pensieri) non fa che mutare? Identità e permanenza sono solo semplicemente illusioni create dalla memoria, proiezioni mentali. In realtà, non sono io ad esistere nel tempo, ma è il tempo che esiste in me, in particolare nella mia mente».

«Naturalmente il mondo fenomenico è caratterizzato dallo scorrere del tempo, ma cos’è che trasporta? Solo forme mutevoli (corpi, oggetti, suoni ed energia), fantasmi di realtà, in cui ci identifichiamo (corpo e pensieri), ubriachi di ignoranza. Insomma, solo mucchietti di particelle subatomiche che passano di forma in forma. Io non sono quella roba lì ed intendo che realmente sono, non quello che, talvolta, ancora credo di essere. Sento realmente che l’esistenza non sia che il frutto dell’immaginazione, che a sua volta dipende dal nostro grado di coscienza. Ciò che realmente esiste è solo l’infinito ed eterno attimo presente, mentre la mente fa incessantemente la spola tra passato e futuro, si estenua e non si ferma mai a riposare in ciò che è reale: l’attimo presente».

«Viviamo incessantemente preda di bisogni e desideri che, una volta realizzati, ci dovrebbero consegnare un futuro migliore, una maggiore felicità. Sprechiamo l’esistenza per raggiungere una condizione che esiste solo nella nostra immaginazione e che, con molta probabilità, non si avvererà mai. Sciupiamo la vita in vista di un ente immaginario, il futuro, in cui proiettiamo aspettative e desideri, immancabilmente condizionati dalle paure che albergano nella memoria del passato (anche questo esistente solo nell’istante presente!), dalle nostre credenze e convinzioni. Per questo, se possedessi la macchina del tempo la terrei in soffitta».

Il tuo drink o la tua bevanda preferiti?

«Non me ne viene in mente una in particolare, oltre l’acqua naturalmente. Niente cocktail e neppure amo particolarmente il vino (so che non è popolare dire certe cose in un Paese come il nostro) a cui preferisco indubbiamente la birra. Del resto viviamo nella terra che, più di ogni altra, alberga nel cuore l’antica anima celtica. Comunque, anche della birra non vado pazzo. Fanno eccezione (nel mondo degli alcolici) la grappa ed il whisky, che talvolta, sorseggio con piacere. Per il resto, a parte spremute di frutta fatte al momento, acqua e soltanto acqua: nessun’altra bibita per me».

Cosa puoi fare tu per salvare o per migliorare il mondo?

«Ce ne sono già tanti di supereroi che si preoccupano di salvare il mondo: si danno un grande da fare. Ogni volta che qualcuno o qualcosa si impegna tanto per salvare il mondo e renderlo un posto migliore dobbiamo prepararci al peggio! Così, mi chiedo se ciò di cui il mondo abbia davvero bisogno non sia, piuttosto, salvarsi da questa gente. Il mondo a me appare come un immenso teatrino vuoto e luccicante, qualcosa che apparentemente esiste, eppure non esiste se non nella nostra percezione. Esso dipende unicamente dal nostro grado di coscienza. É sino a quando desideriamo che sia; poi improvvisamente svanisce, si dissolve nella nostra incoscienza (al momento della nostra morte)».

«Forse, per salvare davvero il mondo basterebbe cercare di trascendere la nostra personalità, le sue idiosincrasie, i desideri. Fare questo con serietà, sincerità di cuore ed animo sereno. Sento che quando avremo raggiunto uno stato in cui ci travolga il disgusto di essere il personaggio che interpretiamo (ma che, invece, crediamo di essere realmente), una condizione in cui emerga prepotente e puro il bisogno di liberarci da tutte le nostre inutili e dolorose identificazioni, allora avremo reso al mondo un grande servigio».

Cos’è l’empatia per te?

«Riconoscere col cuore e profondamente che tutto è Uno. In altre parole, trascendere la mente che divide e contrappone. Se riusciamo a raggiungere una chiarezza mentale ed un grado di coscienza che unifica e rende coerenti tutti gli oggetti del mondo delle forme, dissolvendo ogni dualismo e competizione, raggiungiamo uno stato di grazia che ci permette di cogliere il tutto in ogni cosa ed in ogni cosa il tutto. Allora, il problema di chi ha fatto soffrire chi si dissolve».

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Alessandra Lumachelli
Alessandra Lumachelli
Grafologa forense e consulente grafologica, docente, conferenziera e scrittrice, ha pubblicato saggi, romanzi e libri di poesie. Fra gli altri: “Il costo sociale del ghosting”, “Drinking (and Dancing) with L. A.”, “Amore non mio”, “Scrittura creatività e arte”, “Grafologia. Appunti in ordine sparso”. Da sempre attenta a tematiche etiche e sociali, sostiene Survival. Il nome registrato Drinking with L. A. le appartiene.
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