Nessuna domanda a parere di chi scrive delinea meglio lo spirito italico come la sempre verde «Cosa fai a ferragosto?». Questa domanda per chi già da anni si interroga sul perché alle persone interessi tanto sapere «Cosa fai a Capodanno?», è emblematica di un Paese che, anche in questo, suole distinguersi dagli altri.
Perché in verità mentre «Cosa fai a Capodanno?» capita di sentirselo chiedere anche all’estero o da stranieri, la preoccupazione su come uno impegnerà quella manciata di ore che separano il 14 dal 16 di agosto è tutta italiota. E la dice lunga su come siamo, e su ciò a cui diamo importanza. Almeno a livello generale, si intende.
«Cosa fai a Ferragosto?» è molto più eloquente del «Ne riparliamo a settembre» che taluni iniziano già a usare come scusa di dilazione a maggio. «Cosa fai a Ferragosto?» è un mantra con cui taluni nascono e dal quale talaltri rifuggono. Senza soffermarci sulle ovvietà che ormai da tempo il vero senso (tanto cristiano quanto latino del “Ferragosto” è ai più sconosciuto) la domanda resta e trionfa nelle conversazioni nostrane provocando curiosità e ansia da prestazione in molti.
E dire che quest’anno, da gossip sabaudi, diserzioni calcistiche e negazionismo climatico, di temi con cui intrattenere il prossimo ce ne sarebbero già a iosa, ma il «Cosa fai a Ferragosto?» è uno di quei titoli in borsa su cui continuare a puntare perché rispunta sempre fedele a sé stesso, come le canzoni di Natale.
Ed allora ecco che i media ci vogliono narrare delle lunghe code in autostrada, delle vacanze da sogno dei vip o sedicenti tali, e questo crea quell’ansia da prestazione di cui dicevo sopra, per cui sono in molti anche coloro che pur di «fare qualcosa di eclatante a Ferragosto» si indebitano anche in banca. Sì, pur di raccontare che sono andati a prendere il sole su quella spiaggia o a “sciabolare” in quel locale venderebbero anche le ruote della macchina, tanto poi a tornare casa in qualche modo ci si penserà. Dopo Ferragosto, ovviamente.
Ma l’importante è esserci, o narrare di esserci stati. Chi di noi non ha mai conosciuto direttamente o indirettamente qualcuno che in realtà è stato in casa tutto il mese di agosto ma poi con una lampada abbronzante torna in ufficio a raccontare di paradisi caraibici? E non rattrista tanto il fatto che uno sia stato a casa, ma che in realtà provi vergogna nel raccontarlo.
Al di là della voluta leggerezza (che di quest’epoca è quasi un atto dovuto) resta da chiedersi perché abbiamo costruito una società con tanta ansia di apparire e raccontare. Dove nulla, davvero nulla, viene più lasciato all’intimità di quella che ciascuno di noi dovrebbe custodire come un segreto prezioso: la nostra vita privata. Che molti regalano ai social nel minimo dettaglio del proprio quotidiano ogni giorno, da quando si alzano a quando vanno a dormire.
Si spende talmente tanto tempo a raccontare con scatti, modifiche, filtri e musichette quella che vorremmo tanto fosse la nostra vita dimenticando, troppo spesso, di curare con la stessa meticolosa attenzione, quella reale. Che senza filtri spesso non è un granché.
A proposito, voi cosa fate a Ferragosto? Volete sapere cosa farò io? Quello che ho fatto da quando sono nata: non penserò che è Ferragosto e farò ciò che mi va, sul momento. Incurante del giudizio degli altri. Provateci, a telefono spento magari. Male non vi farà di certo.