Il 17 marzo 1861 viene promulgata, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale numero 67, la legge numero 4671, approvata dal primo Parlamento nazionale italiano, riunito a Torino: era stato eletto il 27 gennaio precedente formalmente come VIII legislatura del Regno di Sardegna, ma è composto anche da rappresentanti delle province annesse dopo la seconda guerra di indipendenza. L’atto normativo sancisce la nascita del Regno d’Italia ed attribuisce a Vittorio Emanuele II e ai suoi discendenti il titolo di Re d’Italia.
È così che, 160 anni fa, nasce lo Stato unitario italiano, sebbene al completamento dell’unità nazionale manchino ancora il Lazio e il Triveneto. In occasione del 50° anniversario, nel 1911, la data viene ufficializzata come festa nazionale. Ed oggi si celebra il 160° anniversario.
La discussione sull’approvazione della legge, sebbene molto breve, è comunque molto animata. In Parlamento si scontrano, infatti, due schieramenti, definiti rispettivamente con i termini di “moderati” e “democratici”. Questi ultimi chiedono che il Re assuma come nome Vittorio Emanuele I, per rimarcare l’inizio di un nuovo Regno rispetto al vecchio Regno di Sardegna. L’altra fazione sostiene invece che il Re debba conservare il numerale “secondo” perché il processo di unificazione è stato un’iniziativa della monarchia sabauda e per mantenere la continuità normativa estendendo la validità dello Statuto e delle leggi del vecchio Regno al nuovo.
La linea della continuità del nuovo Stato unitario con il vecchio Regno sabaudo è quella che poi prevale in Parlamento. I deputati, eletti con un sistema fortemente censitario (e poi solo la Camera è elettiva, mentre il Senato è completamente nominato dal Re), rappresentano però così un’esigua percentuale della popolazione del nuovo Stato: solo il 2% infatti ha i requisiti di reddito per poter votare ed essere eletto. A ciò vanno ad aggiungersi le enormi differenze economiche, sociali e culturali fra le varie province del nuovo Regno.
La distinzione più netta, poi, è fra le grandi città, industrializzate e oggetto di una rapida modernizzazione, e le vaste aree rurali. Tutto ciò favorisce la presa, in una fetta molto fasta della popolazione, delle spinte alla sommossa verso lo Stato, il cosiddetto fenomeno del brigantaggio, con conseguente dura repressione. E anche la nascita della “questione meridionale”, tema che racchiude le conseguenze della difficoltà delle aree del mezzogiorno ad avere le opportunità economiche di quelle del nord.
Questo scollamento con la base popolare del nuovo Regno sarà la fonte delle difficoltà che incontrerà la monarchia sabauda nella gestione del Paese e della scarsa visione unitaria che l’Italia – il “Paese dei campanili”, come si è usi dire per sottolinearne l’eterogeneità economica, sociale e culturale – si porterà appresso per molto tempo. E, in parte, manifesta ancora oggi.